lunedì 28 settembre 2009

Il suicidio della sinistra europea


Guardo ai risultati delle elezioni tedesche con sentimenti contrapposti.
Da una parte come italiano c'è il senso di ammirazione stupefatta verso quel paese che è stato capace di costruire sulle ceneri della propria storia la migliore democrazia del pianeta. Tanto spaventosa è stata la dittatura, tanto elevata è la qualità della democrazia che è nata da essa.

Certo oggi la Germania vira a destra. Ma il pragmatismo democratico ed europeista della Merkel è fuori discussione. L'estrema destra è ai minimi termini e non va in parlamento. I liberali sostituiscono i socialdemocratici nella coalizione di governo. Il loro giovane leader carismatico, Guido Westerwelle, è un intellettuale gay ultra-europeista collocato su posizioni molto avanzate in tema di diritti civili. Con una destra così si potrebbe dire chi ha bisogno della sinistra. Venendo da quell'autentico pozzo nero della democrazia che è l'Italia di oggi non si può che provare invidia verso i cittadini di quel paese che hanno saputo così bene fare i conti con il loro passato, ed oggi hanno la certezza di non doverlo rivivere.

Se poi dismetto i panni dell'italiano frustrato ed indosso quelli dell'europeo che non vive gli appuntamenti elettorali come un giorno del giudizio allora subentra la tristezza.
E' andato in scena infatti l'ennesimo psicodramma della sinistra europea la cui crisi oggi sembra senza ritorno.
Gli attori ed i palcoscenici cambiano ma la recita è la stessa. Il protagonista principale del campo progressista, in questo caso, la SPD subisce un'emorragia di voti. La base disorientata accentua la tendenza alla diaspora e alla frammentazione. I verdi, la linke, adesso i pirati. Molti hanno optato per l'astensionismo, altri sono stati attratti da Westerwelle.
Per cui una vittoria numericamente possibile si è tramutata nell'ennesimo successo liberale. Proprio nel momento in cui le idee di quest'ultimi sono la causa della peggiore crisi ecomomica del dopoguerra. I conservatori anziché venire sonoramente puniti per i loro errori continuano ad inanellare vittorie paese dopo paese.
Questo apparente paradosso si spiega con il suicidio dei grandi partiti di sinistra. Recepiscono le idee liberali anche quando è evidente che non funzionano. Contribuiscono allo smantellamento dello stato sociale, e della precarizzazione del lavoro. Inseguono il voto moderato che non arriva. Se uno deve votate a destra tanto vale farlo per l'originale. Fanno il contrario rispetto a quello che il mondo che li circonda vorrebbe da loro. In passato è avvenuto in Francia ed Italia, oggi in Germania, tra pochi mesi avverrà in Gran Bretagna.

Sulle ragioni di questo comportamento schizofrenico ci sarebbero molte considerazioni da fare. Ma servirebbe un post a parte.

venerdì 25 settembre 2009

La protesta degli italiani



Sono contento che sia stata organizzata una manifestazione degli italiani residenti in Belgio. Se ne era parlato nel blog di andima nei commenti al suo post ma la mancanza di esperienza in materia non ci aveva aiutato. Sulle ragioni della protesta vi rimando a quanto spiegato dagli organizzatori

Volevo però aggiungere alcune considerazioni sull'importanza di tenere una manifestazione di questo tipo proprio qui a Brussels.

Si sa che in Italia c'è una videocrazia. C'è un tizio che controlla l'informazione televisiva privata da proprietario, quella pubblica da presidente del consiglio. Il resto dei media è posseduto da chi ha interesse a restargli amico, e questo spiega l'approccio paludato e sonnolento di Corriere della sera, Stampa, Sole 24ore, La 7, e compagnia bella. Rimangono minuscole 'riserve indiane' che ancora sfuggono al suo controllo contro cui ora ha deciso di scatenare un'offensiva inaudita (Io non rispondo - il docufilm).

In Italia chi era preposto ad impedire questo scempio non ha fatto il suo dovere per tre decenni.
La videocrazia oltre a violare costituzione italiana e molte leggi ordinarie, è in contrasto con le regole comunitarie in materia di concorrenza e pluralismo. Queste valgono in misura ancor maggior nel cruciale settore dell'informazione là dove il consenso si forma.
Nessun nuovo paese membro, che si trovasse nella situazione dell'Italia, potrebbe essere mai essere ammesso a far parte dell'unione europea in quanto mancate dei requisti minimi di democraticità.

Ed invece di fronte al Berlusconismo la destra Europea, che controlla le istituzioni comunitarie, gira lo sguardo dall'altra parte e fa finta di nulla. Aznar, Merkel (foto abbracci con berlusconi al congresso PPE), Sarkozy si comportano da anni come se avessero dinanzi un normale leader di un partito di destra moderata.
Si è celebrata la rielezione di Barroso, un democristiano pilatesco e machiavellico, che non ha esitato a cercare ed ottenere l'appoggio di Berlusconi per essere confermato a capo della commissione.

E' sotto gli occhi di tutti la vibrante indignazione dell'opinione pubblica europea per le vicende italiane, ma questo non produce né comportamenti politici ed istituzionali coerenti né atti ufficiali. Eppure le Istituzioni Europee avrebbero tutti gli strumenti per ottenere il cambiamento. Se esse esplicitassero rigorosamente e formalmente l'incompatibilità tra la situazione italiana attuale e la permanenza in Europa questo sarebbe qualcosa che metterebbe gli italiani di fronte ad una scelta irreversibile. Seguire il caimano fino alla catastrofe o ripristinare costituzione nazionale e regole europee tornando ad essere una democrazia compiuta. Sarebbe qualcosa che neanche Vespa e Minzolini potrebbero mai riuscire ad occultare.

C'è una sottovalutazione del problema da parte degli altri europei. Ti dicono, 'lo avete votato adesso che volete? è un problema interno degli italiani'. Ma così facendo dimenticano gli insegnamenti della storia, dimenticano che il fascismo è nato in Italia ma poi è dilagato a macchia d'olio. Gli sfugge il fatto che l'Italia è abilissima nell'esportare i suoi mali. Ha esportato il fascismo, ha esportato la mafia, ora può benissimo esportare la videocrazia.
La verità è che oggi anche in Europa c'è qualcuno che non sta facendo il suo dovere. Per questo la protesta a Brussels è di fondamentale importanza.

02/10/2009: come è andata

venerdì 18 settembre 2009

Tonalità d'autunno


Il post che avevo preparato sulla protesta degli italiani, già in rampa di lancio, è rimasto intrappolato tra tastiera e mouse pochi secondi prima di vedere la luce della blogosfera quando si è diffusa la notizia della tragedia di Kabul.
E' arrivata così la cancellazione della manifestazione a difesa della libertà di stampa, decisione saggia, ma non giusta. Saggia perché la protesta sarebbe stata oscurata mediaticamente e screditata dalla videocrazia col pretesto del lutto. Ma non giusta in quanto i militari sono ufficialmente in Afghanisitan per esportare la democrazia. Non ci sarebbe stato modo migliore di onorarli difendendo la democrazia anche nel luogo di partenza della missione.
Essi stessi sono stati vittima della videocrazia imperante nel paese. Il cambiamento delle regole di ingaggio ha fatto si che la missione diventasse partecipazione ad una guerra a pieno titolo. Ed anche questo all'opinione pubblica è stato occultato insieme a tutto il resto.
In concreto però gli organizzatori non avevano molta altra scelta.

Mi tocca così passare al post di riserva. La transizione dalla non-estate al, per ora, non-autunno.
Il cielo di Brussels sta di nascosto cercando di riprendesi il suo naturale tono di sottofondo, il colore grigio straccio sporco di default. La luce giornaliera diminuisce ed il parco, svuotato dalle orde estive, scala verso tonalità autunnali multi-cromatiche volute da un sapiente giardiniere all'atto di piantare alberi con cicli biologici sfasati.
Contro tutti i pronostici il mio soggiorno italiano non ha comportato aumenti di peso, nonostante le quantità industriali di cibo ingurgitate e l'assenza di qualunque forma di attività fisica. La giornata senza auto ha riempito ogni angolo della città di famigliole in bicicletta.

Al lavoro solito tran-tran. Ad un corso ci spiegarono che l'informatica si basa sul concetto di utonto. Figura mitologica che impersonifica quella specie di legge di Murphy applicata alla tecnologia secondo la quale se c'è una cosa assolutamente assurda ed imprevedibile qualcuno, che dicesi appunto utonto, finirà immancabilmente per farla.
Da noi esiste una categoria particolare di utenti. I super-users che per conoscenze vere o presunte hanno il compito di fare da tramite tra unità IT e tutti gli altri.
Massima attenzione poi, ci diceva sempre il tipo del corso, a quelli che pensano di saperne di più. Sono i più pericolosi di tutti. I super-utonti, giustappunto. Da noi gli utonti alla ripresa di settembre sono più super che mai. Ma a parte questo tutto normale.

E' pure cominciato il nuovo corso di francese. So di parlane troppo. Ho deciso questo è l'ultimo che frequenterò. Mi sono ripromesso di uscire dal cupo tunnel dei corsi di francese. Ma è pur sempre il luogo dove meglio riesco a farmi un idea sul tipo di fauna che approda nel luogo comune.
Confermato il fatto che il grosso è di passaggio, che sono qui da quattro, cinque sei mesi e che tra quattro cinque o sei mesi forse saranno ripartiti. Il grosso continua a provenire da paesi PIGS. Molti con sindrome in stato avanzato.
L'altro giorno un ungherese ha iniziato ad irritarsi per il ritardo altrui prima ancora che fosse ora. Ho da questo dedotto che è il primo corso che fa all'EPFC. Tremava quasi per l'ira. No il ritardo altrui proprio non riesce a tollerarlo. La prossima volta farò ritardo di proposito pur di non sentirlo. Gli ho raccontato per calmarlo la storiella di quell'avviso dove si diceva 'la riunione inizia alle 9.15 per i tedeschi, alle 8.45 per italiani e spagnoli, alle 9 per tutti gli altri'. Deve essere lo spirito latino ho aggiunto. Cosa che lui ha pensato bene di ripetere 20 minuti dopo in pubblico premurandosi di sostituire 'latino' con 'mediterraneo'. Giusto per essere sicuro che nessuno dei suoi nuovi compagni di classe si sentisse escluso dalle sue premure. Ha rischiato di essere finito a colpi di audiovisivi sulle gengive.

Ma il vero spettacolo è l'insegnante. Si tratta di un anziano signore che sembra essere fuoriuscito da un ginnasio degli anni trenta. Se uno il francese non lo parla e scrive come Flaubert rimane profondamente offeso nei sentimenti. Ma al di là della retorica pomposa e del linguaggio forbito la sua missione vera è quella di stupire:
Ah il Belgio che paese in decadenza, e quanto appiattimento culturale che c'è a Brussels. Ah beato lei che la lingua l'ha studiata in Francia e non da noi dove la si insegna male. Ah, quanto hanno ragione i francesi che si fanno beffa di noi. E via così con questo rosario per tre ore o quasi.
E qui scatta l'avvertenza a quei merluzzi bolliti dei mie compagni classe. Quando fa cosí NON DOVETE ANNUIRE! Non è questo il vostro ruolo nella commedia. Ecco quello che invece dovete dire voi: ma cosa ci dice mai signor professore? Ma è un cosí bel paese con ottime frites e tanta buona cioccolata....questo è quello che dovete rispondere. Adesso vedrete come vi combina.

Non potevo trovare modo migliore per inimicarmi un numero sufficiente di persone in condizione di infelicitarmi l'esistenza per mesi. Non male per un post di transizione. Ci si risente quando riprogrammano la manifestazione.

mercoledì 9 settembre 2009

L'aria serena del sud


Mi accorgo di conoscere poco l'Italia. Me ne sono reso conto l'altro giorno al rientro quando ad attendermi all'aeroporto c'era un uomo di circa 40 anni inviato dai miei per prelevarmi.
Viene da una famiglia con 10 figli, ed egli stesso ne ha 4 di cui uno all'università. Anche i suoi fratelli ne hanno tutti dai tre ai quattro. Una settantina di familiari spalmati su tre generazioni, tutto questo nell'epoca della crescita zero.

Uno di questi fratelli, manco a dirlo con tre pargoli, vive di una miriade di lavoretti non stabili. Pur già avendo un mutuo sulla prima casa, ha appena deciso di sottoscriverne uno nuovo per l'acquisto di un terreno di 3000 mq. Il terreno è agricolo ma ci costruirà lo stesso.
Lui invece lavora nell'edilizia e, nonostante la crisi del settore, se la passa benone avendo ottenuto in sub-appalto con un altro fratello un segmento dei giganteschi lavori appena iniziati per la costruzione di un nuovo centro commerciale. Era un vecchio progetto che pensavo si fosse impastoiato ma che ora ha ripreso slancio. Sorgerà in località Acqua Rita. E' un nome suggestivo che ricorda idilli bucolici. Fu dato in passato all'ennesimo pezzo di fertilissima pianura destinato ad essere inghiottito dal cemento.
E' molto strano questo paese. Investe in centrali nucleari quando altrove fanno di tutto per liberarsene. Scommette sull'incenerimento dei rifiuti quando gli altri cercano e trovano altre soluzioni. Costruisce centri commerciali là dove questo modello di commercio inizia ad entrare in crisi.
Ma il mio interlocutore questi problemi non se li pone. Ad una sorella l'assessore ha garantito l'assunzione come cassiera. Cosa c'entri l'assessore con le assunzioni di un centro commerciale privato è un mistero degno di John Grisham.
Resta il fatto che un tempo la classe operaia andava in paradiso e oggi va al centro commerciale.

Quanto ai quarantenni della classe media al momento sono impegnatissimi a dover decidere se trascorrere le vacanze invernali sulla neve oppure ai tropici. In tutta onestà quando ci si trova dinanzi a dilemmi così struggenti tempo per occuparsi di altro ne rimane poco.
Oggi sulla spiaggia mi è capitato di ascoltare uno di questi esemplari, con occhiali a specchio e capelli all'indietro. Prima ha lungamente compatito quelli che per carnagione non riescono mai ad abbronzarsi per davvero. Poi li ha paragonati a delle aragoste bollite. Ha affermato di avere un bisogno fisiologico di recarsi in spiaggia e che d'inverno s'ingrigisce. La verità è che lui vive ad energia solare, ha concluso. Se ci fosse un sombrero fotovoltaico potrebbe pure utilizzarlo per andare al centro commerciale ad emissioni zero, giusto per tirasi su il morale nei tetri pomeriggi invernali.

Esiste un apparente paradosso. La consapevolezza della gravità di quanto avviene in Italia e l'angoscia ad essa associata è più forte tra gli italiani residenti all'estero, che evidentemente si informano su internet, rispetto a quelli che abitano in Italia.
Questi ultimi vivono le cose con una spensierata serenità, percepibile anche tra chi il governo lo avversa. Prendi i miei che pure sono antiberlusconiani. Non sapevano della vicenda Rai-Sky, delle clamorose indagini di Palermo. Lo stupore della stampa estera è una eco lontana. Il Tg1 dell'altro giorno aveva come prima notizia Tremonti che sproloquiava sulle tante belle cose fatte contro la crisi da considerarsi ormai superata. Napolitano poi elogiava la fiducia nelle istituzioni degli abruzzesi. Terza notizia, la visita del papa non ricordo dove. Fine del telegiornale.

Quando sono a Brussels trovo sempre arduo fornire, a chi me le chiede, spiegazioni vagamente comprensibili sulla situazione italiana. Poi mi bastano trenta minuti in Italia e mi illumino d'immenso.

giovedì 3 settembre 2009

Il rientro degli expats


Qualche giorno fa in concomitanza del rientro dalle ferie e dell'arrivo della nuova infornata settembrina di stagisti sono stati pubblicati sul sito brusselsstudies.be i risultati di uno studio su una componente molto particolare della società brussellese e numericamente piuttosto consistente (il 10% circa del totale). Si parla degli espatriati.
Si tratta di uno studio ben realizzato e che risulta, per me, molto interessante in quanto prende d'infilata argomenti trattati in alcuni dei miei ultimi post.
Viene dato un profilo degli expats ed una descrizione di come essi interagiscono con il tessuto sociale della città.
Propongo una sintesi delle conclusioni principali che ne scaturiscono e che mi sento di confermare in pieno sulla base della mia osservazione personale.

Chi forma la comunità degli expats?
Si tratta di forza lavoro altamente qualificata, orientata alla professione, in media giovane, che di norma a Brussels ci resta per un periodo di tempo limitato, anche se una parte finisce per rimanerci a titolo definitivo. Lavorano per le istituzioni europee e per le entità che con esse hanno a che fare (rappresentanze locali e nazionali, ONG, camere di commercio, lobbisti, etc).
Si distinguono dall'immigrazione tradizionale per qualifiche e status economico. A Brussels ci vanno spinti più da ragioni professionali e per il desiderio di fare una nuova esperienza che per soddisfare bisogni materiali.
La permanenza media è di circa 3-4 anni, a volte di un solo anno, o anche per uno stage di 6 mesi.
Ma spesso anche chi sa di dover passare l'intera vita lavorativa qui sogna di ritornare nel proprio paese per l'età della pensione per poi realizzare che questo ormai è diventato il loro paese (la storia non allegra di un ex nostalgico).
Il sentimento dominante è quello della temporaneità.

Come si integrano nella città?
E' un tipo di immigrazione che viene vista positivamente, in contrasto con l'immigrazione tradizionale che comporta pulsioni xenofobe.
Questo peró non implica una migliore integrazione nella società belga, piuttosto il contrario. Gli autoctoni tendono a considerali come una presenza temporanea, che spesso agisce con atteggiamento predatorio nei confronti della città. Spesso vengono considerati strapagati e privilegiati, anche se non sempre lo sono.
Non sono piaciuti gli stravolgimenti urbanistici imposti alla città per fare spazio alle istituzioni europee, l'incremento dei valori immobiliari che questi arrivi massicci hanno comportato.
Gli expats, considerandosi di passaggio e non avendo spesso l'obbligo di conoscere nessuna delle due lingue nazionali, spesso rifiutano di fare sforzi per imparare francese (considerazioni sul francese) e olandese. E' sorprendente scoprire come persone che si iscrivono a corsi per principianti abbiano già trascorso 3 o 4 anni a Brussels. E questo ne pregiudica le possibilità di integrazione con i belgi (perché non è mai facile intergrarsi in un altro posto).
Un intervistato britannico trova divertente il fatto di non avere amici belgi e di non avere amici che ne abbiano .
Per questi motivo gli expats sono visti come una comunità a se stante. Hanno anche una propria lingua, il cosí detto 'Eurolanguage' o 'Euroenglish', che è ben altra cosa rispetto all'inglese vero e proprio.

In ogni caso il tentativo di racchiudere gli espatriati in una comunità omogenea è superficiale. La realtà è più complessa. Entrano in gioco le identità nazionali e ciascuno di questi sotto-gruppi impiega di frequente criteri diversi di socializzazione.

Il rapporto in versione integrale è disponibile sul sito brusselsstudies.be.