sabato 29 agosto 2009

Perché non è mai facile integrarsi in un altro posto




E' interessante quanto dichiarato da Rosina, ex calciatore del Torino trasferitosi di recente allo Zenit Pietroburgo. Rosina parla della sua nuova avventura, della città che trova affascinante. Ma la parte significativa è quando descrive i rapporti con i suoi nuovi compagni di squadra.
"Qui a San Pietroburgo sono riuscito a legare con il portoghese Fernando Meira, con l'o­landese Ricksen e con l'un­gherese Huszti. I russi, in­vece, stanno per conto loro e raramente danno confi­denza. Ma non è una que­stione di razzismo. Credo sia proprio un lato del loro carattere: sono riservatissi­mi".
Ma anche gli irlandesi sembra siano riservatissimi. Attenzione, si dice in tanti blog, la gentilezza degli irlandesi non va oltre una cortesia di facciata. Si parla di spirito celtico.
Lo stesso viene detto nel blog dove si parla di Barcellona. I catalani, per ragioni storico-culturali, non sarebbero cosí pronti ad aprirsi a i nuovi arrivati.
Stessa cosa a Milano dove non esiste nemmeno la barriera della lingua. , si dice, dipenderebbe dall'ostiltà sociale che circonda gli emigrati provenienti dal sud.
Ma anche nel mio anno spagnolo, e non era Barcellona, mi è capitato di ascoltare argomenti simili. Bisogna capirli, si diceva, con tutti questi turisti solo di passaggio non hanno cosí tanta voglia di investire in relazioni destinate a dissolversi presto.
Quanto al Belgio fino ad ora non ho avuto miglior fortuna. Molte conoscenze, qualche amico ma tutti rigorosamente europei espatriati o immigrati a seconda del livello di correttezza politica che si vuole utilizzare nella formulazione. Belgi zero. Certo in ufficio vengono tutti da fuori Brussels, i corsi di lingua li frequentano gli stranieri, lo spirito, anche qui si dice, è quello del nord ma il risultato è lo stesso. Conosco una sola persona che, di padre inglese e madre napoletana, belga lo è solo nella forma.

Ci si appella a specificità locali, a situazioni contingenti ma se il fenomeno diventa universale è ovvio che c'è di più. La ragione alla fine è ovvia e sarebbe davanti in bella vista.
Sfugge per mancanza di empatia, per l'incapacità di saper ragionare, per un attimo, con la testa dell'altro.
Uno arriva in un posto ed ha bisogno di ricostruire la propria esistenza, trovarsi nuove amicizie, creare una rete di conoscenze, infittire le relazioni umane e colmare un deficit di socialità.
Non ne ha bisogno invece chi in un posto già ci viveva e magari c'è nato. ha familiari, partner, amicizie e relazioni. Dispone di una griglia di connessioni sociali consolidata nel tempo con un fisiologico e minimale tasso di ricambio.

L'esistenza umana è composta da un numero non infinito di unità di tempo e se ne investe in relazioni sociali solo una frazione piccola. Dunque una persona, che si trova nel suo ambiente naturale, ne intraprende una nuova solo se questa fornisce valore aggiuntivo, perché per portala avanti probabilmente dovrà sacrificarne qualcuna esistente. Per farlo dunque il gioco deve valerne la candela. I filtri applicati diventano più rigorosi di quelli di un nuovo arrivato che per necessità di cose applica criteri meno rigidi.

Chi si trasferisce sa dall'inizio che, a prescindere da latitudine e longitudine del luogo di destinazione, quella che va a giocare è una partita in trasferta, contro i favori del pronostico ma non persa in partenza.
Parlando di impiego, si dice che un datore di lavoro a parità di qualità tenda a preferire un indigeno a chi viene da fuori. Per cui quest'ultimo per essere scelto deve apportare qualcosa in più. Credo che sia valido, grosso modo, anche per le relazioni umane.

sabato 22 agosto 2009

Alcune considerazioni sulla lingua francese



Dato che i corsi stanno per ricominciare volevo cogliere l'occasione per fare alcune considerazioni generali sulla lingua madre del luogo comune, il francese, e sulla strategia che ho seguito e continuo a seguire per portarne a termine l'apprendimento.

Alcune constatazioni:
-Il francese è la lingua più simile che esista all'Italiano. La difficoltà risiede nel apprenderne il vocabolario e la fonetica. Grammatica, modi di dire, utilizzo dei tempi verbali e costruzione della frase hanno una somiglianza impressionante.

-Quando si apprende un nuovo termine è fondamentale memorizzarne ortografia, genere, singolare e plurale, accentazione e trascrizione fonetica. Sempre.

-Il francese ha suoni che non esistono in italiano. Consiglio ai neofiti di lavorare moltissimo sulla fonetica. L'accento italiano è duro da rimuovere. E' fondamentale esercitarsi a riprodurre i suoni del francese, con l'aiuto di dizionari parlanti.

-Attenzione alla 'E'. Esiste la 'E' aperta, come è verbo, la 'E' chiusa come perché. E fin qui ci siamo. Ma esiste un terzo tipo di 'E' che in italiano non c'è. Una sorta di 'E' strangolata, simile al grugnito prodotto da chi ha ricevuto un cazzotto negli addominali da Tyson. Bene. E' da questo che un francese si accorge di essere in presenza di un italiano. L'italianizzazione del suono della 'E' è il tratto distintivo dello studente made in Italy.

-I verbi sono lo scoglio più duro da superare. Qui peró c'è un segreto da rivelare. Il PRESENTE è il tempo più difficile da padroneggiare, arriva ad avere anche tre radici diverse ma quando lo si sa coniugare il gioco è fatto. Tutti gli altri tempi scaturiscono dalla coniugazione del presente.

-Comprensione orale. Termine di riferimento puó senz'altro essere considerato il francese standard e pulito dei notiziari, France2, TV5, France24 (disponibili online). Se non si comprende il francese dei telegiornali, non si puó comprendere quello dei film, se non si comprende quello dei film non si puó comprendere quello della strada.

-Qualche buon sito con materiale didattico: LiveMocha e Tv5

-Qualche buon testo: Grammaire progressive du Français -CLE (debutant, intermédiaire, avancée) e Vocabulaire progressif du Français -CLE (debutant, intermédiaire, avancée).

-I corsi sono utili ma non sono tutto. Possono rappresentare massimo il 15-20% dello sforzo d'apprendimento. Non di più.

Io sono partito da zero. La mia strategia è stata folle, assolutamente da non seguire e sconsigliata da esperti e docenti. Ma ve la descrivo lo stesso.
Non avendo avuto la possibilità di iscrivermi a nessun corso al mio arrivo ho deciso di fare da solo. Il primo giorno ho preso una lista di circa 1000 termini, i più comuni, e ne ho memorizzato ortografia e pronuncia. Fatto questo ho completato un paio di moduli LiveMocha (online e gratuiti). Ho preso un testo in svendita (10€ ad un discount) con CD incluso e con dei dialoghi trascritti recitati da madre lingua. Li ho tradotti e li ho riascoltati fino alla nausea. Ho iniziato ad ascoltare un TG in francese al giorno, quello che capivo capivo. Appena ho cominciato ad essere in grado di leggicchiare ho preso l'abitudine di leggere un articolo al giorno. Poi ho iniziato a leggere un primo romanzo di un'autore contemporaneo in francese, in metro con dizionarietto tascabile alla mano. Ci ho messo 6 mesi per finirlo, dedicando alla lettura peró solo i due intervalli quotidiani di 30 minuti in metro per andare al lavoro. Poi ho iniziato con i 20 romanzi del ciclo dei Rougon-Macquart di Zola in sequenza. In un anno ne ho letti i primi 8, ora me ne mancano 12.
Quando dico che pratico il francese leggendo i romanzi di Zola in metro mi prendono per pazzo, insegnanti in prima fila, ma la realtà è che letti i primi due poi lo sforzo non è poi tanto più grande che leggere in italiano.
Solo allora ho cominciato a seguire corsi e studiare la grammatica.

In conclusione, per me capire e farsi capire, essere fluenti, poter conversare sono soltanto valide tappe intermedie verso l'obiettivo finale. Lo scopo è parlare e scrivere senza errori, sapere quando usare il congiuntivo, l'indicativo, il condizionale, mettere gli accenti al posto giusto anche quelli circonflessi, sapere dove piazzare i pronomi, fare ipotesi, usare gli idiomi. Ovviamente a velocità normale, non al rallenti. Capire tutto quello che ascolto, e non avere il ben che minimo problema a esprimere qualunque concetto, anche molto complesso. Il traguardo è quello della maratona, non quello dei 100 metri. Perché la lingua cessi di essere anche la più piccola delle barriere.
A settembre riprenderò regolarmente il mio posto tra i banchi dell'EPFC.

domenica 16 agosto 2009

Vieni a ballare in "Pulia"


A pranzo con i fiamminghi.
-Un mio amico è stato in vacanza dalle parti di Napoli. Sai che mi ha raccontato?
Avrei preferito non saperlo. Recentemente sono in stato di sovraesposizione informativa
-Ha dovuto pagare per entrare in spiaggia! 30€ e voleva rimanere solo un'ora!A quel punto gli altri hanno cominciato ad allargare lievemente l'apertura degli occhi con un impercettibile movimento verso il basso del labbro inferiore che nelle Fiandre è segno di grande incredulità, forte angoscia, smarrimento, sbigottimento, indignazione e sorpresa estrema.
-Ma da noi non si paga per andare sulla spiaggia!
Da nessuna parte si paga per andare sulla spiaggia.
-Sarà la mafia, ha commentato un altro.
Lo so che non ci devo andare a pranzo con i Fiamminghi.
-Non è la mafia, ho aggiunto con l'aria di chi la sa lunga sulle cose e sulla gente, è lo...STATO.

Ho provato a spiegargli per sommi capi come funziona il sistema delle concessioni delle spiagge. Null'altro che un'indecorosa arrampicata sui vetri. Ovviamente aveva ragione lui. Se per evitare di sdraiarsi tra pannolini sporchi, preservativi usati e siringhe arrugginite bisogna sganciare da 30€ in su, la cosa non è estorsione, ma solo per la presenza di un timbro di un burocrate a convalida.
L'anno passato, mi spiega, aveva lui stesso pensato di venire in vacanza in Italia, "in Pulia" ma mancanza di collegamenti e prezzi esosi lo avevano spinto ad optare per la Grecia.
-Venire in Italia è costosissimo, anche al sud ed in Sicilia.
-Infatti non bisogna andarci in vacanza in Italia, gli ho risposto. Io ci ritorno per la famiglia, altrimenti andrei altrove in Spagna, in Grecia, in Croazia. Certo non in Italia.

Il fatto che mi stia iniziando a stancare di difendere l'indifendibile non mi rende di per se anti-patriottico. Al contrario, credo di stare dando prova di fanatico nazionalismo e sciovinismo irriducibile. Infatti esistono due categorie di turisti. Quelli che comprano i biglietti aerei, prenotano in albergo e partono. E quelli che manifestano l'intenzione futura e solamente potenziale di farlo. Questi ultimi sono chiaramente la stragrande maggioranza.
Evitare che qualcuno torni a casa convinto di essere stato in un paese di mariuoli è il miglior modo di tutelare gli interessi nazionali. Si protegge il turismo a venire e si da il tempo a tutti gli interessati di pulire la stalla.

Breve excursus di quello che si intende per pulire la stalla. Collegamenti aerei per meno di 100€ per tratta. Restituzione dei bagagli in meno di 15 minuti. Agevole raggiungibilità delle spiagge tramite trasporto pubblico. Restituzione delle spiagge al pubblico e relativa pulizia quotidiana. Installazione di docce da parte dei comuni. Che questi ultimi trovino un'altra via per finanziare i loro intrallazzi diversa dall'appioppare multe pretestuose. Che gli hotel di 3 stelle siano davvero di 3 stelle e abbiano prezzi da 3 stelle, e cosí via. Revoca permanente, e non di facciata, della licenza a chi presenta un conto di 600€ a dei giapponesi giudicati molto somiglianti alla Gioconda. Revoca della licenza a tutti quegli esercizi pubblici dove manca il sapone nel bagno. Ed tante altre cose assai gradevoli che ora mi sfuggono come ad esempio questa dell'ultima ora: Agropoli, insulti a coppia gay. O come questa ancora: come ti riduco a fogna la grotta azzurra (segnalata da Bacco).

In attesa che tutto ciò divenga realtà continuerò a mostrare maggiore premura per il benessere di coloro con cui ho a che fare rispetto alla consistenza del conto bancario degli operatori turistici nazionali.

Per la cronaca, non sto buttando merda sul mio paese. Mi sto solo limitando a rigettarla indietro.


Caparezza: vieni a ballare in Puglia.

lunedì 10 agosto 2009

La storia non allegra di un ex nostalgico


Qualche giorno fa mi è capitato di commentare con altri le affermazioni fatte da una persona di nostra conoscenza. Si tratta di una donna che non ha superato da molto la trentina. Avendo vinto il concorso in commissione è destinata a rimanere nel luogo comune per diversi decenni. Nonostante ció non ha comunque intenzione di comprare casa. Gli anni della pensione, dice, vuole trascorrerli nel suo paese natale, la Romania. Tutti hanno giudicato molto triste il fatto che una persona prenda decisioni importanti sulla base di quello che spera di fare negli anni grigi.
A me invece è venuta in mente una storia che ho appreso qualche tempo fa. Ve la racconto.

C'era una volta un giovane uomo che viveva nel sud di un paese del sud dove si mangiava la pizza, si suonava il mandolino e si era poveri ma belli. Costui per poter vivere fu costretto ad emigrare, in treno con la valigia di cartone, verso un paese del nord dove si mangiava male ed il clima non era un granché.
Era un giovane di buona volontà e si mise a lavorare duro conservando però sempre in fondo al cuore il sogno di poter ritornare nel suo amato paese una volta giunto all'età della pensione. Passarono i giorni, passarono gli anni e passarono anche i decenni e alla fine giunse il momento cosí tanto atteso. Chiamò un notaio di sua conoscenza e gli chiese di trovargli dei compratori per dei beni immobili di cui era divenuto nel frattempo proprietario. Il notaio, molto serio e scrupoloso, si mise al lavoro e portò a termine il compito che gli era stato assegnato. La vendita fu conclusa senza intoppi. Con in tasca una buona pensione ed un consistente gruzzolo poteva finalmente ritornare a casa felice. Il notaio si congratulò con lui e gli augurò caldamente buona fortuna.
Passarono però sei mesi ed il professionista ricevette una telefonata dall'uomo che adesso si trovava nel suo paese. Il notaio si preoccupò, pensò a qualche complicazione legale.
-No signor notaio, è che volevo solo dirle, disse l'uomo, che nel caso in cui lei dovesse venire a conoscenza di qualche casa in vendita, beh, io ne sarei interessato all'acquisto.

Il notaio non sapeva che a determinare l'inattesa richiesta era stata una situazione prevedibile da lui non prevista. Il suo amato paese continuava ad avere una buona pizza ed un buon clima, ma non un buon sistema sanitario e delle buone cure di cui si ha spesso bisogno negli anni del tramonto. Anche questa volta il notaio fu molto efficiente e gli trovò un venditore.
Così l'uomo si mise nuovamente in viaggio verso quel paese dova la pizza la facevano male ed il mandolino non sapevano nemmeno cosa fosse. Questa volta partì in aereo e con la valigia in pelle pregiata, e soprattutto, senza guardarsi mai più alle spalle.

Morale n. 1: è probabile che il viaggio sia di sola andata.
Morale n. 2: life is now.

giovedì 6 agosto 2009

Living on the land of "Eurabia"- 2


Qualche tempo fa l'Espresso si è occupato di Islam riproponendo un articolo già comparso precedentemente sul Foglio (sic!). Il titolo parla per se. L'Eurabia ha una capitale: Rotterdam.

Parla di una città che ha molti quartieri sequestrati dall'islamismo più cupo e violento. Dice che basta fare un giro per le sue strade per capire che in molti quartieri non è più Olanda. L'articolo fa una panoramica su tutta una serie di episodi a conferma dell'aggressività delle comunità islamiche a cui si contrappone l'arrendevolezza delle istituzioni olandesi. Gli avvocati musulmani hanno chiesto ed ottenuto di cambiare finanche le regole del diritto, chiedendo di poter restare seduti quando entra il giudice, riconoscendo soltanto Allah.
Parla delle terribili convulsioni politiche che hanno scosso il paese culminate con gli omicidi di Pim Fortuyn prima e del regista anti-islamico Theo Van Gogh poi.

E' inutile che mi dilunghi in un riassunto troppo dettagliato. L'articolo è linkato, è in italiano e vale la pena leggerlo in ogni caso. Poi c'è un'altro articolo su una rivista che mi è capitata tra le mani durante uno dei miei vagabondaggi a rue du midi. C'è l'ho qui ma è in francese e non ho trovato la versione online per cui dovrete fidarvi del mio riassunto. E' stato scritto da un certo Guillaume Williams. Provo a farvi una panoramica delle sue cosiderazioni, e ripeto LE SUE, nella maniera più neutra possibile:
L'islam non è una religione di tolleranza ma è una ideologia araba imperialista e colonialista, che ha distrutto numerose civiltà avanzate. Il terrorismo non è una interpetrazione errata dell'Islam, infatti è dovere sacro di ogni musulmano combattere finché tutta l'umanità non si sarà convertita ad Allah. Nell'Islam non c'è nulla di equivalente al 'porgi l'altra guancia' dei cristiani. L'Islam rifiuta di mettere l'individuo al centro dei valori umani. I suoi seguaci si ostinano a mettere l'islam al centro di tutte le preoccupazioni e per questa ragione è incompatibile con la democrazia, cosa dimostrata dall'assenza di democrazie musulmane.
Da sfatare anche il mito per cui ad un Islam radicale si contrapporrebbe un Islam moderato. I moderati non sono altro che una minoranza silenziosa. Ma il fatto che sia silenziosa non significa affatto che sia moderata. Significa solo che nel momento in cui gli islamisti si dovessero rafforzare o prevalere essi li seguirebbero. Esiste una sola parte minoritaria su cui l'occidente può far sponda e sono i Musulmani laici, quelli che ritengono che la fede religiosa sia un fatto privato. Questi ultimi sono avversati da tutti gli altri, moderati compresi, in quanto giudicati non dei veri credenti. L'Europa per salvarsi da una guerra civile, altrimenti certa, dovrà supportare questi ultimi, rifiutando di importare l'oscurantismo di società arcaiche moribonde ed imponendo ai nuovi arrivati i valori europei, senza le arrendevolezze mostrate fin'ora, come è avvenuto per le precedenti ondate migratorie.


Mi riservo di esprimere in un commento la mia opinione sull'articolo per non interferire con il post.
Qualche tempo fa invece 'El país' ha reso pubblici i risultati di un sondaggio francese condotto da BVA all'interno delle comunità marocchine in Europa per vericarne il livello di integrazione nei vari paesi Europei. Il quotidiano lo fa nell'ottica spagnola giungendo alla conclusione che in Spagna essi sono meno integrati che altrove (ricordo che quella marocchina è la più consistente comunità di immigrati in Belgio). Ancora più interessante è lo slide show, linkato nell'articolo, che da in dettaglio i risultati del sondaggio e dal quale già inizia ad emergere un quadro ben diverso rispetto ai cupi timori degli articoli precedenti, soprattutto per quanto riguarda i marocchini di seconda generazione cioè quelli nati in Europa. L'80% utilizza la lingua del paese di residenza per comunicare, il 70% si interessa attivamente alla politica del paese di residenza, il 100% frequenta non-marocchini, il 100% segue i media del paese di residenza, il 62% non ritiene soddisfacente la condizione delle donne in Marocco. Il 70% non partecipa ad attività organizzate dalle moschee, il 69% non iscrive i figli ad alcuni tipo di istruzione religiosa, il 71% non va mai alla moschea (e solo il 10% la frequenta assiduamente). Si può parlare di 'smaomettizzazione'? Ma la cosa che impressiona è la dimensione del cambiamento nell'arco di una sola generazione.

En infine il pezzo forte. Qualche settimana fa nell'edicola del parlamento comparve in bella vista la copertina del nuovo numero di NewsWeek che titolava "The myth of Eurabia" con un sottotitolo anch'esso molto eloquente "Why Fears Of A Muslim Takeover Are All Wrong" (perché i timori di una annessione musulmana sono completamente sbagliati). Per fortuna la stampa anglosassone ha la buona abitudine di mettere online molti dei suoi contenuti. E' un articolo che andrebbe letto integralmente dato che smonta scientificamente il mito di Eurabia. Ne faccio un riassunto per sommi capi per chi dovesse avere problemi con l'inglese:

Che i musulmani possano aumentare di 20 milioni nel prossimo futuro è una speculazione basata su una speculazione. Perché ciò avvenga ci vorrebbero flussi migratori senza precedenti, là dove verosimilmente maggiori controlli ne rallenteranno l'intensità. Anche il tasso di natalità tra le donne immigrate è destinato a calare. Il tasso di fertilità tra le donne turche nate in Olanda è sceso dal 3.2 nel 1990 all'1.9 nel 2005, pressocchè quello delle donne olandesi, e dal 4.9 al 2.9 per le marocchine.
Il mito di Eurabia implica anche l'esistenza di un Islam compatto. Ma in realtà non c'è nessun movimento politico islamico in Europa. Un Britannico di origini pachistane avrebbe enormi problemi a comunicare con un francese di origini algerine. L'Islam stesso e molto diviso al suo interno, la divisione più nota è quella tra sunniti e sciiti.
Anche NewsWeek cita poi dei sondaggi, stavolta di Gallup, i cui risultati sono assolutamente in linea con quelli di BVA. La maggioranza dei musulmani francesi è disaccoppiata dalla propria religione. La metà di essi ritiene accettabile sesso tra persone non sposate. In Olanda i musulmani che vanno alla moschea sono il 27%, meno dei protestanti che vanno in chiesa. La stragrande maggioranza condanna il terrorismo e dichiara la propria fedeltà al paese di accoglienza.

E questo è quanto. Io, opinione personale, non credo ad Eurabia e do ragione a NewsWeek. Se i musulmani sono il 26% a Brussels, a livello nazionale sono il 6%. Se anche fossero in grado di esprimere orientamenti politici granitici, e non è assolutamente cosí, comunque non basterebbe. Il loro impatto sulla politica belga è trascurabile.
Rimane questa presenza consistente, difficile da inquadrare, che pone problemi sociali, con una convivenza da gestire e da rafforzare. Ma attenzione, non siamo all'anno zero, il processo d'integrazione è già in corso e forse avanzà più speditamente di quanto si potesse immaginare.
In breve ho creduto fosse doveroso parlarne essendo anche questa realtà parte integrante del complesso mondo Brussellese. Questo però non inficia in alcun modo quanto di buono e di cattivo molti hanno ritenuto di dover dire di questa città sui vari blog (Bruxelles babele europea, hi Bruxelles, il luogo comune).

martedì 4 agosto 2009

Living on the land of "Eurabia"- 1


Il 6% della popolazione del Belgio è di religione musulmana. Questa percentuale sale a Brussels al 26% del totale, contro il 4% della Vallonia ed il 3,9% delle Fiandre. La comunità di immigranti più grossa è quella marocchina, mentre i turchi sono il terzo gruppo per consistenza numerica ed il secondo gruppo etnico di religione musulmana. I dati di Vikipedia sono confermati pienamente sul terreno: l'intera commune di Molenbeek-St-Jean, gran parte di Schaerbeek, e la parte nord di Anderlecht sono abitate da immigrati di origine maghrebina di prima, seconda e terza generazione. Dunque il luogo comune almeno quantitativamente apparterrebbe alla terra di "Eurabia".

Nel 2002 tale Bat Ye'or coniò il termine "Eurabia" per definire il destino verso il quale vede incamminata l'Europa. Un destino di sottomissione all'islam. Oriana Fallaci riprese nei suoi scritti la parola "Eurabia" e diede ad essa una risonanza mondiale. La tesi è la seguente: l'Europa, malata di secolarismo e permessivismo, ha consentito decenni di immigrazione incontrollata. L'immigrazione combinata ad un elevato tasso di fecondità delle donne islamiche, agevolato dal generosissimo stato sociale dei paesi del nord, avrà come conseguenza che nel 2025 il 40% della popolazione europea sarà musulmana, facendo così ripiombare il continente in un nuovo medioevo, fatto di fanatismo e legge coranica. Questa è la tesi.

Si è parlato molto di realtà reale, che si desume da dati e statistiche, e realtà percepita frutto spesso dello stato d'animo e dell'umore di chi scrive. In questo post vorrei affrontare il tema dal punto di vista della mia percezione, di quello che ho visto o che mi è sembrato di vedere. Seguirà un secondo post con riferimenti a statistiche ed articoli scritti da chi si è occupato professionalmente del problema.

Chi visita il parco di Laeken, il magnifico polmone verde di Brussels, in un pomeriggio soleggiato di una domenica sarà colpito dalla miriade di donne con il velo islamico circondate da nugoli di marmocchi. Molte di più di quante se ne vedano per esempio in metro nei giorni lavorativi. E non è un buon segno perché ciò vuol dire si tratta di donne che vivono in casa e ne escono solo per portare i pargoli al parco.
Non sfugge all'osservazione l'immondezzaio in cui il parco è ridotto il lunedì mattina, prima dell'arrivo degli addetti.
Non sfugge la presenza di bande di teenager che popolano alcune tratte del metro, magari con i piedi sui sedili che parlano tra di loro a alta voce a distanza infastidendo l'intero vagone. A dire il vero, non mi è mai capitato di vedergli importunare estranei ma non sono comunque una presenza rassicurante.
Non sfuggono, sul viale che porta all'Atomium, le accellerate con musica a tutto volume da parte di qualcuno. Sembrebbe confermato anche un certo livello di microcriminalità.
Rimane da stabilire se questo non dipenda da fenomeni di degrado urbano, disparità di reddito ed esclusione sociale tipici di tutte le società di mercato piuttosto che da Islam ed immigrazione del presente o del passato.
Però resta comunque questa la percezione di primo pelo. Uno entra in metro vede delle ragazze giovani che vestono il velo, e ne rimane colpito. Il velo è inequivocabilmente segno di emancipazione fallita, di religiosità oppressiva.
Se però uno scende e poi ci risale su quel vagone, non è cambiato nulla, le teste velate sono ancora , ma l'immagine che percepisce inizia ad essere diversa. Ti accorgi che intorno alla ragazza col velo ce ne sono altre tre che invece non lo portano, che sono truccate, che vestono bene, che portano libri scolastici o testi universitari. Non le avevi notate perché sono ragazze con un tipo di fisionomia non diversa da quella di una qualunque donna meridionale.
Se poi al parco ci torni un giorno della settimana lo trovi vuoto ed anche questo stride con il luogo comune (quello vero) per il quale questa gente vivrebbe a scrocco grazie alla generosità dello stato sociale. Ma uno a scrocco ci vive sempre, non solo la domenica pomeriggio. Ti sorge il dubbio che la tua percezione fulminea nel cogliere le cose negative sia meno buona nel valutare il contributo che da questa presenza comunque arriva.

Ti viene in mente quella giovane donna, la tua prima insegnante di francese, parigina di origini algerine, che sembrava appena uscita da un atelier di place Vendome. Ti ricordi di Walid, il sistemista rompipalle ma competente.
Ti viene in mente di quando Sara, un'altra insegnante di francese, non ammise all'esame di fine corso una studentessa (alquanto sprucida) che vestiva il velo, perché aveva mancato tre quarti delle lezioni. Ma anche Jorge, andaluso dai modi suadenti, non era venuto quasi mai e l'esame lo fece. Episodio di discriminazione uno avrebbe detto se non fosse che Sara in realtà si chiama Zarha ed è di origini iraniane.
Ti viene in mente Reda, il collega di Rabat, lui si integratissimo, quasi ai limiti della paraculaggine, ancora di salvezza tra l'incudine vallone ed il martello fiammingo nella riproduzione miniaturizzata, nel piccolo di un ufficio, di questa sorta di guerra civile fredda che divide questo paese.

Rimane il fatto che la percezione non permette di trarre conclusioni definitive. La questione rimane aperta. La scristianizzazione non è un problema mio, ma di Bagnasco, finché per essa si intende la perdita di influenza delle chiese cristiane sulla società europea. Non mi frega tanto se i furti di autoradio sono aumentati o diminuiti dell'1%, perché è inevitabile che questo avvenga in una capitale e l'argomento non mi appassiona. mi interessa stabilire se un nuovo nato è meglio che si chiami Pierre o Mohamed.
Mi interessa invece scoprire se le capitali europee sono destinate a diventare nel giro di pochi lustri tante Kandahar a base si Burqa, lapidazioni e mani mozzate. Quello si che mi interessa saperlo. Ecco perché nel prossimo post mettiamo i bambini a letto e lasciamo parlare i grandi.