venerdì 30 ottobre 2009

L'Europa dei sindromati


A Brussels hanno luogo moltissime iniziative, anche di grande valore, che però vengono pubblicizzate poco e male.
Questa settimana, ad esempio, ci deve essere certamente stato un raduno di sindromati di cui non ho avuto notizia. Perché ne ho incontrati di tutti i tipi e di tutte le provenienze.
So che il termine è fonte di forti controversie in altri luoghi della blogosfera. Forse i protagonisti degli aneddoti che sto per raccontare non lo sono nell'accezione originaria che l'autore (lyndon) ha voluto dare al termine.
Ma da queste storielle viene la conferma del fatto che andare all'estero è qualcosa che va al di là della ricerca di un lavoro e dell'apprendimento di un minimo di euroenglish.

Episodio numero uno. Takeaway libanese, dietro place Jourdan. Kebab place come tutti gli altri se non fosse per una meravigliosa salsetta a base di melenzane arrostite, che chiamano Baba. Il locale è pieno. Ci sono bambocci delle scuole dovunque. Due ragazzi si siedono accanto a me e al mio collega. Sono gli ultimi posti liberi rimasti.
Parlano una lingua dell'est europeo che riconosco immediatamente, il polacco.
Sono loquaci. Sono curiosi come possono esserlo ragazzi di quella età alla prima esperienza all'estero. Ci tengono a sapere cosa ne pensiamo del loro paese. Gli dico di Ala. Ma che coincidenza! Anche loro conoscono una amica che sta con Italiano. Un siciliano. Poi aggiunge col sorriso sulle labbra:
-E' un mafioso. Tutti i siciliani sono mafiosi.
Lo dice come se stesse dicendo la più grossa ovvietà. Come che nel Sahara fa più caldo che al polo sud, o che di giorno c'è più luce che di notte.
Ci dice poi che Varsavia è diversa da Bruxelles. Non ci sono stranieri e musulmani. Reda, l'uomo del Marocco, impallidisce. Perché, domanda, in Polonia odiano gli stranieri?
Ma no, non li odiano. Sono loro che emigrano e che vanno a rompere le scatole altrove. Non è la prima volta che sento persone dell'est europeo fare affermazioni pesanti, sugli arabi, sui cinesi, sull'Italia, sui neri, con la massima nonchalance, con il sorriso sulle labbra. Non sono il solo ad averlo notato (are the czechs more racists?).
Ammettiamolo, a 20 anni dalla caduta del muro la cosa inizia a diventare un problema ed il trattato di Lisbona continua ad essere bloccato dalla Repubblica Ceca.

Episodio numero due. Vagone della metropolitana. Una ragazza chiede a qualcuno, in francese con accento di legno e le E contundenti, se il treno arriva a Baudouin. Lui le dice di si, che non si può sbagliare, quello è il capolinea. Lei però non si fida, chiede ad una altra persona, poi ad un'altra ancora. Tutto il vagone viene costretto ad occuparsi delle sue vicende. Le hanno detto, lei ripete, che col metro ci si sbaglia facilmente (mi avrà letto? gran metro Bruxelles). Ma lei ha un incontro importante. Però non conosce la linea. Normalmente si sposta in auto. E' per quello che insiste a domandare...mica per altro.
Alla quinta replica della litania intervengo brutalmente in italiano con il tu.
-Fidati, va al capolinea. Abito a due fermate da lì e va al capolinea. 100%.
Ovviamente ha continuato a non crederci ma, per lo meno, ha smesso di affliggere l'umanità. E' rimasta in piedi per tutto il viaggio, guardando con angoscia il tabellone del percorso, con fare tremulo e preoccupato.

Ultimo episodio, il più truculento. Bar dell'ufficio. Siamo in coda per il caffè. Davanti a noi ci sono tre italiani, siciliani. Parlano ad alta voce. Uno di questi chiede alla barista che la tazza gli venga riscaldata. Forse teme contagi. Non in francese, non in inglese ma in italiano con forte accento. Lei gli fa intendere che non capisce cosa vuole esattamente. Quello si inalbera ed alza ulteriormente la voce. Che ci vuole, le dice sbraitando ed indicando il macchinario, basta passarla sotto il getto di vapore. Ottiene quello che vuole e se ne va al tavolo.
Intanto al bancone è partito un dibattito, in francese.
La barista si lamenta. Dice che è ordinaria amministrazione. Con gli italiani è sempre così, arrivano, non dicono per favore, danno ordini imperiali, se ne vanno e non ringraziano nemmeno.
Generalizzazioni certo, ma se nel piccolo mondo di una persona che lavora ad un bar, uno, poi due, poi tre italiani si comportano così allora il campione per lei diventa universo. E allora non ha senso nemmeno abbozzare una difesa d'ufficio, che ho comunque di malavoglia tentato, facendole presente che non tutti si comportano così.
La verità è che oggi dell'italiano medio c'è da vergognarsi.
Nel frattempo i nostri eroi ignari della discussione che avevano scatenato continuano a discutere dei fatti loro ad altissima voce. Il tipo della tazza inizia a lodare Berlusconi e ad inveire contro il giudici comunisti che lo perseguitano. Farà sicuramente parte della folta schiera di sostenitori della destra che adorano la Polonia ed i paesi dell'est, paradisi di purezza etnica, senza immigrati e musulmani, pieni di belle donne in fervida attesa del maschio italico, senz'altro mafioso, ma tanto tanto macho e ben vestito.

sabato 24 ottobre 2009

Il reperto


A Bruxelles ci sono arrivato dalla Spagna. C'ero rimasto undici mesi. Si dice che un soggiorno all'estero inferiore all'anno va considerato turismo. Il periodo spagnolo però due eredità me le ha comunque lasciate. Una più virtuale, e qualche volta ne parlerò, l'altra molto più materiale ed ingombrante. Prende le forme di un ciclomotore Aprilia dietro il quale c'è una lunga storia.

Ad Alicante Ala ci metteva mediamente un'ora, per lo più in attesa dell'arrivo dell'autobus, per raggiungere l'ufficio sebbene in linea d'aria abitasse a soli 500 metri da esso.
Era separato da casa da una landa sterrata e disabitata, tagliata in due da un canale non attraversabile. La strada di collegamento era invece un'arteria a doppia corsia interdetta ai pedoni.
Niente di meglio che comprare uno scooter di seconda mano se non fosse che per un minuscolo, irrilevante dettaglio. Per registrare l'acquisto serviva il patentino, che lei non aveva. Per ottenere il patentino doveva iscriversi ad un corso. Per iscriversi al corso doveva ottenere un certo NIS che è qualcosa di mezzo tra codice fiscale e numero di previdenza sociale.
Finì così per entrare in una specie di loop burocratico kafkiano. L'ufficio preposto di questi codici ne rilasciava solo una ventina al giorno. Per quanto presto andasse la mattina non faceva mai in tempo. Ci provò una due, tre volte e alla fine rinunciò. Il motorino finì dimenticato in un garage. Il palazzone dell'ufficio rimaneva , beffardamente dinanzi al balcone di casa della sventurata costretta ad attendere il bus per ore sotto il solleone spagnolo. Fino a tre settimane dalla partenza per Bruxelles quando ci si ricordò dello scooter.
-Lo vendiamo, dissi.
Trovammo un compratore che però non si presentò.
-Allora ce lo portiamo a Bruxelles, rilanciò Ala.
-A Bruxelles?? Ma sai quanto ci viene a costare???
-Nulla, ci disse l'impiegata dei traslochi, motorino o non motorino il trasporto in camion costa lo stesso.
Farsi i fatti propri no?
-Allora lo portiamo! Fece lei.
Poi scoprì che per i funzionari comunitari c'era un altro ufficio con la coda molto più corta. Ottenne il numero e si iscrisse al corso. Superò l'esame a dieci giorni dalla partenza. Ottenne il patentino uno due giorni prima e quasi all'ultimo istante lo immatricolò e lo consegnò alla ditta per il trasporto.

A Bruxelles l'incubo kafkiano riprese. Il motorino, che non aveva ancora percorso dieci metri, andava reimmatricolato ed assicurato in Belgio. Trovammo qualcuno che lo assicurò senza cambio di targa.
Una sera decisi di farne uso per recarmi da un amico. Non ho mai guidato motorini in vita mia. I miei si erano sempre rifiutati di comprarmene uno negli anni dell'adolescenza. Il conseguimento dell'autonomia economica giunse quando ormai avevo già sviluppato una sorta di terrore sacro per tutto ciò che non fosse a quattro ruote. Per arrivare al centro da dove abito si deve attraversare Molenbeek, quartiere islamico, teatro spesso di insurrezioni e scontri con la polizia.
Benché il motore mi si spense ad ogni semaforo l'attraversamento dei ghetti brussellesi fu la parte meno pericolosa della serata.
Cosa avrebbe fatto, ad esempio, la polizia in presenza di un motorino appartenente ad una polacca, guidato da un italiano, con targa spagnola ed assicurazione belga? E non solo. A ridosso del quartiere europeo mi ritrovai catapultato sulla corsia centrale di rue Belliard, stradone a senso unico che di corsie ne ha cinque. Le vetture mi sorpassavano a destra e sinistra a tutta velocità. Avevo il casco stretto di Ala e gli specchietti mal avvitati a penzoloni. Faceva un freddo boia nonostante fosse il 27 luglio. Riuscii non so come a uscire da rue Belliard giusto 100 metri prima dell'omonimo tunnel. Mancai però la traversa dove abitava il mio amico e dovetti fare un nuovo giro della morte su rue Belliard. All'arrivo avevo un colorito del volto da fare invidia all'incredibile Hulk.
Il mio amico, centauro provetto, mi rimise a punto il veicolo per il ritorno che fu senza intoppi. Lo parcheggiai davanti casa dove è rimasto senza che nessuno lo toccasse più per mesi. Ha subito un tentativo di furto. E' rimasto in balia dei vandali del quartiere che gli hanno fregato gli specchietti e lo hanno rovesciato al suolo più volte. Ala, che per inciso non ha la più pallida idea di come si guidi un motorino e ne è terrorizzata più di me, nel frattempo si è convertita a sogni di altro spessore.
Alla fine abbiamo avuto la brillantissima idea di spostarlo dinanzi ad una chiesa senz'altro dedicata a qualche santo protettore dei ciclomotori. Se poi il miracolo si è prodotto per l'intercessione del santo o per la presenza dei tre, quattro alberi su cui si danno convegno tutti i corvi di della zona, questo non lo so. Sta di fatto che da allora i vandali lo evitano come la peste.
Il veicolo è ormai un pezzo dell'arredo urbano. Un mese fa c'è stato nel quartiere il mercatino dell'usato con i venditori disposti intorno allo scooter interamente scacazziato di bianco dai corvi.

Temo che il fotoromanzo sia destinato a continuare.

domenica 18 ottobre 2009

Torna nella tua terra, terùn



Avvertenza: arrivare alla fine prima di bollare il post come inutile :-)


Qualche giorno fa in un servizio del telegiornale (il link al video è in fondo al post) c'era un certo, Giuliano Bignasca, esponente della Lega. Si lamentava della presenza di certi lavoratori stranieri nel proprio territorio. Diceva che bisognebbe mettere un freno a tutto ciò, specie in un momento di crisi come questa.
Il numero di questi stranieri, dice il servizio, è costantemente aumentato nel corso degli anni, da 32000 del 2002 a 44500 del 2009.
Basta, dice Bignasca, con una massa di 20000 disoccupati locali bisogna chiudere le frontiere e tornare al sistema di una volta quando era la polizia ad attribuire i permessi di lavoro.

La Lega si è impadronita dell'argomento per fare il pieno dei voti ad ogni consultazione elettorale.
Poi il servizio continua con l'intervista a due esperti. Il primo, Stefano Modenini, capo della locale associazione imprenditoriale e cerchiobottista alla De Bortoli, riconosce che questi stranieri sono indispensabili al mantenimento dell'attività. Però, continua, ci sono problemi specie nel settore dei servizi e la politica se ne deve fare carico.
Un secondo esperto di mercato del lavoro fa notare che esistono dei settori, l'industria ma anche quello delle costruzioni dove l'utilizzo di questi lavoratori stranieri supera il 50%, e a volte il 60%, della forza lavoro impiegata. E si domanda cosa ne sarebbe senza di essi.

E dunque direte voi, sono decenni che si sentono questi ragionamenti, dov'è la novità?
Da nessuna parte. Se non fosse che quello di cui parlo era il telegiornale svizzero, Bignasca è il capo della Lega Ticinese e i lavoratori in questione sono i frontalieri italiani residenti nel nord della Lombardia che si recano ogni giorno in Svizzera per lavoro.
Bignasca arriva a proporre la revoca di 500 permessi concessi per ogni miliardo di franchi che lascia il Ticino per effetto dell'amministia fiscale, come viene definito lo scudo fiscale nel servizio. Fantastico. Mafiosi, evasori e tangentisti trarranno profitto dal provvedimento, la rappresaglia la subiranno quelli che vanno a lavorare tutti i giorni.

Che aggiungere? Massima solidarietà da parte di questo blog* a tutti coloro che sono vittima di discriminazione e pregiudizio, qualunque sia la provenienza della vittima, dovunque esse avvengano e chiunque ne sia il perpetratore.
Terroni di tutto il mondo unitevi !

Ecco il video del servizio.

*Che poi sono sempre io ma detta così fa più scena.

giovedì 15 ottobre 2009

Blog action day '09: il cambio climatico


Blog Action Day è l'evento annuale che unisce bloggers di tutto il mondo. Ognuno posta sullo stesso tema lo stesso giorno sul proprio blog allo scopo di far nascere una discussione su argomenti di rilievo globale. Si può ancora aderire per tutta la giornata del 15 ottobre.

Molti si sono lamentati qui a Bruxelles dell'ultima settimana di pioggia dimenticando che per ben due mesi non ha piovuto. Le precipitazioni sono state a carattere torrenziale. Come avviene in Campania, nel sud Italia in generale. Per il Belgio è una novità. Le estati ultra torride un tempo erano l'eccezione ora si susseguono con più frequenza.
Fino a una quindicina d'anni fa in Belgio il termometro faceva segnare -10° per almeno tre settimane all'anno. Ora tutto ciò è un ricordo. Il freddo può non far piacere ma era parte di indispensabili alternanze metereologiche ora scomparse. L'agricoltura in molti paesi è in ginocchio a causa della siccità. Emblematico quanto di recente è avvenuto in Argentina.
I negazionisti parlano di cicli geologici naturali. Ma il fenomeno avviene con tale rapidità che le responsabilità umane diventano lampanti.

L'evidenza scientifica è abbondante. Le particelle di anidride carbonica nell' atmosfera prima della rivoluzione industriale erano 280 su un milione. Che negli anni 50 erano già a 350 e che ora siamo vicini alla soglia di non ritorno di 450 (Carbon's new math).

Una parte dei gas ad effetto serra è utile per mantenere il pianeta sufficientemente caldo. Il loro eccesso, dovuto ai combustibili fossili, è invece la causa principale del riscaldamento globale con tutte le sue gravi conseguenze. Fenomeni metereologici estremi. Scioglimento di ghiacciai e ghiacci del mare artico. Diffusione crescente di malattie tropicali. Distruzione delle barriere coralline.

Alla recente crisi economica è stata data una lettura banalizzata, in chiave esclusivamente finanziaria. Alcuni paesi-continente, Cina, India, Brasile, hanno dato segno di voler partecipare più assiduamente al banchetto dei ricchi. Si è subito prodotta una pressione su prezzi di energia e materie prima. La speculazione ha annusato l'odore del sangue è ha spinto in alto inflazione e tassi di interessi. E così il castello di carte del mercato immobiliare è venuto giù.
Ma non è una crisi finanziaria, è una crisi ecologica. Se tutta l'umanità iniziasse a consumare come quel 20% che accaparra l'80% delle risorse non basterebbero 5 pianeti terra per far fronte. Qualcuno inizia ad averne abbastanza di 'prestare' le proprie risorse ai ricchi. Questa è la vera essenza del credit crunch.
Si può sempre stampare moneta per rimettere in sesto qualche banca. La dilapidazione di foreste, territorio, ozono, risorse idriche e materie prime invece non potrà essere azzerata da nessun artificio.

La crisi avrebbe dovuto condurre ad un ripensamento dei modelli di sviluppo, del modo stesso in cui si misura la performance economica. Avrebbe dovuto portare ad una ridefinizione del significato che si attribuisce ai termini benessere e felicità (tema di un vecchio post: 'el calientamiento global' ed i maiali di Carlos). Avrebbe dovuto accentuare gli sforzi per ripristinare, magari grazie alla ricerca e alla tecnologia, la logica naturale dei cicli aperti, basati sul riutilizzo, anziché quella dei cicli chiusi che producono rifiuti.

Ed invece niente. L'unica reazione consiste nel tentare di restaurare la normalità il più presto possibile come se nulla fosse. Soldi alle banche. Aiuti alle case automobilistiche. Vendere meno auto diviene la peggiore tragedia che possa capitare all'umanità. E giù con incentivi all'acquisto di nuove vetture in tutti i paesi a prescindere da latitudine e colore dei governi. Leggevo di un piano per dimezzare le emissioni del traffico aereo per il 2050. Le compagnie aeree se ne sono lamentate, troppo ambizioso.
Solita storia. Sporchiamo adesso, pulirà chi verrà. Intanto il prezzo del petrolio è di nuovo a 73$. Basterà una mini ripresina per fargli risuperare i 100$. A quel punto ricomincerà la giostra dei crolli. Questa volta però a fallire non saranno le banche ma i governi stessi.
Brutta gatta da pelare la crisi ecologica. Qualcuno addirittura sostiene che sia già troppo tardi. Il capitalismo liberale basato sul consumismo ha consumato se stesso. E' ora di prenderne atto. Adesso e non nel 2050.

lunedì 12 ottobre 2009

Il sole del nord


Lilla, pizzeria italiana

Sabato scorso sono stato con degli amici all'outlet di Roubaix, cittadina all'estremo nord della Francia nei pressi di Lilla. Dista un'ora da Bruxelles. E' la destinazione di moltissimi brussellesi interessati a risparmiare il 15-20% sulle loro compere. Se si seleziona con accortezza si riescono a fare buoni affari.

Questa escursione oltre frontiera mi ha permesso, in modo del tutto casuale, di venire a saperne di più sui movimenti intercorrenti tra questo lembo estremo di Francia ed il paese confinante.
A Lilla non si perde occasione per farsi vanto della propria nordicità. Le theatre du nord, la voix du nord, le credit du nord, la librairie du nord e persino una brasserie le soleil du nord (il sole del nord). Abbiamo trovato il titolo tanto audace da meritare un premio e vi ci siamo fermati per una crepe ed un cioccolato. All'interno del bar era disponibile una copia di un quotidiano locale, Nord éclair. Il giornale si chiedeva in modo eloquente: è il Belgio il nuovo eldorado del lavoro?

All'interno si parlava dei lavoratori frontalieri. Quelli che sebbene residenti in Francia si recano quotidianamente in Belgio per lavoro. Sono 35.000 contro solo 5.000 belgi che fanno il contrario. La loro condizione è vantaggiosissima. Godono di un trattamento del tutto particolare grazie ad una convenzione tra i due paesi. Pagano i contributi sociali, più economici, in Belgio. Le tasse invece le pagano in Francia dove sono più basse che in Belgio. Vengono poi forniti alcuni dati sull'economia belga. La disoccupazione è al 4.5% nelle Fiandre, e al 9.5% in Vallonia.
L'articolo parla di una imminente penuria di forza lavoro nelle nelle Fiandre. Molti lavoratori qualificati con 50 anni di anzianità sarebbero ormai prossimi alla pensione.
I datori di lavoro fiamminghi cercherebbero lavoratori con conoscenze tecniche in informatica, settore elettrico, agroalimentare e così via.
Questa situazione va a beneficio di tutti. Dei datori di lavoro che si trovano a disporre di manodopera più motivata e meno sindacalizzata. Dei lavoratori che oltre ai vantaggi fiscali godono di un salario superiore in media del 30% rispetto a quello francese.
Un'altro articolo da molta enfasi allo studio dell'olandese il cui apprendimento non sarebbe, a conti fatti, tanto più ostico di quello dell'Inglese.

La cosa però più divertente è che il giornale tratta il Belgio alla stregua del buco con la menta intorno della vecchia pubblicità della polo, dove la menta intorno sono Fiandre e Vallonia ed il buco invece è la regione brussellese. Su quest'ultima nemmeno una riga.
Quando poi si vanno a spulciare i dati sulla disoccupazione se ne comprende il motivo. L'area urbana di Bruxelles ha fatto registrare di recente un picco di 100.000 disoccupati. Su un bacino di un milione di abitanti viene facile immaginare quale possa essere la percentuale finale: più del 20%.

Non ho informazioni sulle ragioni alla base di uno scarto così ampio con i territori confinanti. E' un dato, tra l'altro, in conflitto con la mia esperienza personale. Se qualcuno ne sa di più è il benvenuto.
La mia impressione è che si tratti di un problema più qualitativo che quantitativo. Il lavoro non mancherebbe ma quello che le imprese e le istituzioni europee cercano sono profili qualificati. Quello che il mercato offre è invece forza lavoro poco istruita e difficilmente impiegabile. Il grosso è incapace a causa della barriera linguistica di spostarsi di neppure dieci chilometri per cercare lavoro. Sembrebbe, a prima vista, una questione di immigrazione ed integrazione gestite male. Prometto di approfondire la questione.

Sul versante francese invece c'è Lilla. Chi dovesse preferire un po' di pendolarismo all'esosità del fisco belga e fosse attratto dall'atmosfera tanto ricercata quanto rilassata di una città di taglia media del nord della Francia un pensierino potrebbe farcelo. Conosco qualcuno che già lo fa.

mercoledì 7 ottobre 2009

La piccola Italia


Solo ora mi rendo conto di quello che potrebbe essere un difetto di Bruxelles. O meglio qualcosa che per qualcuno potrebbe essere un pregio ma che io giudico un difetto.

C'è stato l'altro giorno il dibattito sulla libertà di stampa in Italia al circolo Palombella con Antonio di Pietro. Sono riuscito a trascinarmi dietro Ala e ci sono andato.
Lo scopo qui non è raccontare la discussione. Per chi fosse interessato è riassunta brevemente in un commento al post.

Comunque la sala era gremitissima, i posti a sedere tutti occupati, molti erano in piedi, altri accovacciati a ridosso delle pareti. Si parlava di questioni italiane, di fronte ad una platea italiana, con politici italiani, moderatori italiani in un circolo gestito da italiani. Bisognava sforzarsi parecchio per non dimenticare di essere in un altro paese.
Certo le comunità italiane sono presenti ovunque ma qui c'è un salto di qualità. Qua c'è l'Europa, ci sono le sue istituzioni, ci sono 80 parlamentari con i rispettivi codazzi al seguito. Ci sono commissari, funzionari, rappresentaze di istituzioni locali, sedi distaccate di partiti, sindacati. Ci sono associazioni. Ci sono persino compagnie teatrali 'italofone'. Molta gente lavora in uffici con soli colleghi italiani e capi italiani. Basti pensare che il prossimo evento che il circolo organizza è la presentazione del libro "Eurocasta" sugli italiani delle istituzioni europee.
Si trovano agevolmente giornali italiani, si riceve la tv. E' facile reperire i prodotti alimentari nazionali. Ci sono 4 o 5 ristoranti italiani nel raggio di 500 metri da dove abito. Non è difficile trovare cinema che danno film in italiano.
A Brussels chi vuole può restare in Italia pur essendo, solo fisicamente, lontano.

Me ne rendo conto appieno solamente ora per una serie di motivi. Sono arrivato qui venendo dalla Spagna. Sono approdato forse nell'unico ufficio comunitario privo di italiani e popolato quasi esclusivamente da belgi. Ho preso casa in una zona considerata fuori mano dagli expats. Lo abbiamo fatto perché qui avevamo trovato un alloggio provvisorio su internet e perché il giorno dopo una signora alla fermata dell'autobus ci disse che in effetti era una buona zona. Mi sono a lungo sentito tagliato fuori e me ne sono pentito. Ora inizio a pentirmi del pentimento.
Perché questa little Italy potrà andar bene per lenire la nostalgia là dove se ne soffra (a riguardo mi viene in mente un articolo di ItalianiInFuga). Ma può al tempo stesso trasformarsi in un arma a doppio taglio che come effetto indesiderato appiattisce l'esperienza della partenza e ne svilisce la portata. La trasforma in una scelta materiale dettata dalla materialità. Il paese ospite diventa un'entità distante di cui si comprendono a mala pena i cliché.

In più c'è l'aggravante della situazione italiana. Spesso si parte per sfuggire anche ai miasmi di fogna che ti soffocano. Ma è un'illusione. Ti seguono e, come in un film horror, ti riacciuffano. Senza accorgertene ti ritrovi immerso nelle stesse tensioni, angoscie e frustrazioni che speravi di aver lasciato alle spalle. Dieci anni fa nei dibattiti con Di Pietro si ascoltavano esattamente le stesse cose di oggi. Dire che anche tra dieci anni si continuerà a sentirle, al momento, significa fare spensierata professione di ottimismo.
Venire a Bruxelles significa lasciare l'Italia ma soltanto in modiche quantità.

Quanto ad Ala è rimasta contentissima d'essere venuta. Si è divertita come un bambino al circo equestre. Per chi la vede da fuori la situazione italiana è più spassosa di una commedia dell'arte.

venerdì 2 ottobre 2009

La manifestazione di rond-point Shuman


L'inizio della manifestazione, le cui motivazioni sono descritte in un post precedente, era previsto per le 12. Uscendo dal metro a Shuman sento in sottofondo un crescente clamore prodotto da grida, slogan e cartelli in aria. C'è molta gente. I manifestanti sono posizionati sul marciapiede che separa la carreggiata tra il palazzo della commissione e quello del consiglio europeo.

Wow, ho pensato, l'iniziativa sta riuscendo al di là delle attese. Però qualcosa non torna. Se è vero che il numero degli italiani di colore è in aumento siamo ancora ben lontani dal 100%. Mi avvicino ad uno di loro e domando lumi. Sono Guineani e protestano per la repressione cruenta in corso nel loro paese ad opera della giunta militare.
E gli italiani? Sono dall'altra parte della strada appollaiati sulle scale all'interno del piazzale del rond-point Shuman. Sono fermi con qualche striscione, una bandiera della pace, qualche stendardo di partito, come una scolaresca in posa in attesa dell'arrivo del fotografo. Il traffico sfila dinanzi ai presenti che verso le 12.30 saranno 100-150.

Qualcuno si stacca dal gruppo per fare delle foto. Ha tutta l'aria di essere un blogger agropolese all'estero. Mi ci avvicino ed infatti ci ho preso. E' Andima. C'è anche Francesco di Chicco.be::bruxelles.
Si parla della manifestazione. Dell'orario che non aiuta. Manca un evento catalizzatore che possa attirarare l'attenzione. Un personaggio di spicco. Molti di quelli che lavorano nei palazzi circostanti si sono ben guardati dal venire. Forse per non scontentare quel pezzo di politica che qui li ha fatti arrivare. Forse perché avevano altro da fare. Manca persino un megafono. Andima prende coraggio ed intona lo slogan 'Siamo tutti dei farabutti'. In tanti lo seguono. Una signora si entusiasma e ci chiede di inventare qualcos'altro. Dopo un breve conciliabolo viene fuori 'Censura, censura, non ci fai paura'. Ma in realtà ci fa paura, siamo per questo. Un gruppo di studenti dell'erasmus ci da man forte e si decide per la riedizione del coro precedente (guarda il video).
Alle 13.00 si raggiunge il picco di presenze. Sulle 300-400 persone.
-Io vado a protestare a mensa, dice qualcuno.
-Ce ce andiamo al ristorante? chiede un altro.
Molti se ne vanno. Un organizzatore pensa bene di sciogliere la manifestazione. La gente ci rimane di sasso. Non si interrompe così un emozione. Nel frattempo la protesta dei guineani assume ben altra intensità. La polizia si schiera a guardia dell'entrata del consiglio.
-Allora Splittiamoci con i Guineani, grida una.
Non essendo chiaro cosa voglia dire nessuno la segue.
-Si, splittiamoci con i Guineani !!, ripete con maggiore aggressività, protestano per le cose incredibili che stanno avvenedo!
E' l'inglesismo che colpisce. Se proprio non ti va di dire 'uniamoci' al massimo devi dire Addiamoci, Joinniamoci, Mergiamoci. Non splittiamoci. Siamo già splittati. Per mezzo ci sono auto, furgoni, camion, persino il bus scoperchiato dei turisti che fotografano.
Comunque il merge avviene. Anche i guineani di Brussels dimostrano di essere a conoscenza degli scandali berlusconiani che i media in Italia hanno occultato. Gli italiani invece non sanno nulla di quanto avviene in Guinea. Ecco il trafiletto che repubblica, per esempio, ha dedicato a quei tragici avvenimenti.

Saluto Andima e gli altri e rientro in ufficio dove apprendo della tragedia di Messina. Domani ci dovrebbe essere la manifestazione nazionale. Se tanto mi da tanto avrebbe dovuto essere rinviata. Se si fa comunque, come sembra, allora è stato un errore rinviare quella di due settimane fa.