sabato 24 aprile 2010

La non nazione

24.04.2010 - Parlamento belga aperto al pubblico in occasione de 'La fête des langues'
Qualche tempo fa un europarlamentare inglese ultra sciovinista definì in un discorso Van Rompuy, presidente belga del consiglio dell'unione europea, una nullità provenente da un non paese.
Eppure in Belgio Van Rompuy, che fino a dicembre 2009 era stato premier, è ben conosciuto.
La sua partenza sarà un problema, mi dissero i colleghi, era l'unico in grado di mettere le due etnie insieme attorno ad un tavolo.

A quattro mesi di distanza la previsione si è immancabilmente avverata. Il suo sostituto alla guida del governo, Leterme, l'altro giorno ha rassegnato le dimissioni.
Questa volta però si parla di crisi di sistema più che di crisi di governo. E' l'esistenza stessa del paese che viene messa in dubbio.
Le Soir
ieri si domandava se avesse ancora senso tenere insieme un paese dove le persone hanno opinioni così ferocemente contrapposte, dove non si riescono più a raggiungere compromessi di nessun tipo, dove gli accordi vengono messi in discussione il giorno dopo, dove si impone la forza della maggioranza e dove si litiga per anni sui confini di distretti amministrativi.

Il Belgio nacque per un accordo tra super potenze, ed è stato da sempre composto da due universi paralleli incomunicanti. I valloni non sanno cosa avviene nelle Fiandre e viceversa, non ci sono flussi migratori interni, i matrimoni misti sono pressoché inesistenti.
Il paese è diviso non solo per lingua, cultura ed economia ma anche per politica. I Valloni a sud, francofoni, votano per la sinistra, i fiamminghi a nord, olandesofoni, per la destra.
La deindustrializzazione e l'avvento del terziario hanno favorito economicamente il nord a scapito del sud.
Nel 1963 la riforma federale dello stato portò alla creazione della frontiera linguistica che separava le due etnie. Fu creata anche la Regione Bruxelles capitale, vale a dire l'area metropolitana della città. Di fatto è un'enclave bilingue in territorio fiammingo.

La regione brusselese fa parte poi del più largo distretto giudiziario ed elettorale BHV (Brussels, Hal, Vilvorde). Il distretto si trova interamente su suolo fiammingo. Si tratta di una sorta di Brussels allargata dove peró le minoranze francofone possono votare ed essere giudicate nelle propria lingua e dove esistono dei comuni detti a facilitazione. In queste communes, pur non essendoci ufficialmente il biliguismo, è possibile per un francofono sbrigare le pratiche burocratiche nella propria lingua.
Ed è questo il nocciolo del contendere. La capitale. Brussels infatti nasce storicamente come città fiamminga, lo è nell'architettura, nei nomi delle strade. Nel corso del tempo si è però francesizzata ed i francofoni sono diventati stragrande maggioranza.
La francesizzazione poi è continuata anche nei comuni periferici appartenenti alla regione Fiandre.
Da qui la reazione nazionalista. Da sempre gli olandesofoni cercano di smembrare il distretto BHV, per separare definitivamenate la capitale dal sud francofono e rendere in questo modo tutte le Fiandre monolingue. Preludio per la separazione finale.

I francofoni invece spingono nella direzione opposta, ossia all'allargamento di Brussels fino al suo ricongiungimento con la Vallonia.
A conti fatto quello che veramente le due etnie si contendono è controllo della città. Se non fosse per l'inassegnabilità della capitale il paese si sarebbe diviso da decenni.

Lo scenario è questo da quasi 40 anni, l'escalation però arriva proprio ora per due motivi. L'accentuarsi del divario economico tra nord e sud ha prodotto un rafforzamento di estrema destra e nazionalisti che puntano alla creazione di uno stato fiammingo indipendente. In generale poi in tutta la comunità nerlandofona prevale il desiderio di delegare quanti più poteri possibile alle regioni, dalla tassazione alla giustizia, dall' istruzione alle politiche economiche etc.
C'è poi stata una sentenza della corte costituzionale che si è pronunciata contro il distretto BHV nel 2003. Il che ha dato ai fiamminghi l'argomento decisivo. Bisognava scindere il distretto prima delle elezioni del 2011. Il re aveva trovato un mediatore che si era fissato come termine per il raggiungimento di un accordo negoziale le passate vacanze di pasqua. Da qui l'ultimatum dei liberali nerlandofoni dell'VLD, partner di governo insieme a democristiani e socialisti delle due etnie.
Il mancato raggiungimento di un accordo nel termine previsto ha portato alla giornata di giovedì, con le dimissioni del premier Leterme, il tentativo del gruppo fiammingo di sciogliere il distretto con un voto a maggioranza semplice senza concessioni negoziali ed infine la provocazione finale degli estremisti del Belang che hanno invaso l'aula per intonare, in una scena da parlamento italiano, il "Vlaamse Leeuw", il canto nazionale fiammingo.

Tutto questo a due mesi dalla presidenza semestrale belga dell'Unione europea, con l'economia ancora in stato d'emergenza, con il debito pubblico al 93% e la disoccupazione alle stelle, 20% nella sola Brussels.

Della crisi politica che ha colpito il Belgio, oltre alla stampa locale, se ne è occupata tutta la stampa internazionale, dal El país al The Guardian. Le Monde, da cui ho preso molte delle informazioni del post, gli ha dedicato il titolo a piena pagina. Su Repubblica e corriere on-line l'evento non è stato invece degnato nemmeno di una riga. Bisogna capirli. Erano troppo sconvolti dalla notizia che Noemi si era rifatta le tette.

venerdì 16 aprile 2010

Fantozzi conspiracies


Un presidente straniero che muore sul tuo territorio è una situazione difficile da gestire. Una brutta gatta da pelare per i russi, commentavano sulla BBC subito dopo la tragedia di Smolensk.
Ecco, ho pensato, sono strasicuro che qualcuno tirerà fuori la storia del complotto. Ed infatti puntuali e scontate come un orologio a cucù sono spuntate le tesi cospirazioniste.

Del resto se la moglie muore misteriosamente i sospetti cadono immediatamente sul marito che la picchiava e la minacciava di morte. Se poi c'è pure il movente siamo a cavallo, è stato sicuramente lui si dirà. Ed in effetti un qualche parvenza di movente potrebbe anche esserci.

I gemelli kaczynski, uguali come due gocce d'acqua, espressione di quel mondo cattolico ultraclericale e antisemita che fa riferimento a Radio Marya, si trovarono qualche anno fa alla guida della Polonia in seguito all'ondata populista e nazionalista che si abbatté sul paese.
Uno divenne presidente, l'altro premier in quel sistema semipresidenziale alla francese che è la repubblica polacca. Loro, sciovinisti ed antieuropeisti, ferventi sostenitori della pena di morte, omofobici all'estremo a capo del principale paese della nuova Europa.
Uno dei due, non ricordo quale, arrivò a chiedere la proibizione dei teletubbies colpevoli di favorire l'omosessualità dei bambini. Si relazionavano alla Germania come se la guerra fosse terminata l'altro ieri e al potere ci fosse Goring e non la mansueta Merkel.
Era anche ferocemente anti-russo, qui c'è il movente. Lech kaczynski era contrario alla normalizzazione delle relazioni con la Russia avviata dal nuovo premier liberal-democratico che nel frattempo aveva scalzato il fratello Jaroslaw. Altrove la febbre populista dura una stagione e non vent'anni.

Quindi sono stati veramente i russi? In fondo si trattava di un loro nemico. Eppure ci sono molte cose che non quadrano nella teoria complottista. Per portare a compimento il loro disegno avrebbero i russi avrebbero dovuto:

-Essere certi che la cerimonia si svolgesse in un giorno di nebbia e che il presidente polacco viaggiasse con un Tupolev.

-Scordarsi che accoppare un presidente straniero è da considerasi un atto di guerra verso quel paese. Atto di guerra, ricordiamolo, verso tutto l'occidente, USA inclusi, essendo la Polonia nella NATO.

-Non rendersi conto che far saltare in aria un aereo presidenziale sul proprio territorio, a poche centinaia di metri da giornalisti e troupe televisive è il modo meno brillante di sbarazzarsi di qualcuno. Tanto vale mettergli della polverina nel caffé, o sommistrargli del polonio visto che si parla di russi.

-Non sapere che Lech era politicamente finito. Ad ottobre scadeva il suo mandato ed i sondaggi non gli davano scampo. Adesso paradossalmente il fratello Jaroslaw sull'onda emotiva potrebbe avere qualche chance in più.

-Darsi la zappa sui piedi. I russi hanno fatto di tutto per far passare sotto silenzio il massacro di Katyn di 70 anni fa.
L'altro giorno bastava fare un po' di zapping sulle reti di news internazionale per trovarvici resoconti dell'eccidio, come se si trattasse di una notizia dell'ultima ora e non di un evento lontano nel tempo. Io stesso, lo confesso, non ne sapevo nulla. Se volevano far si che l'umanità ne venisse a conoscenza non avrebbero potuto trovare maniera migliore.

Una bella genialata questo complotto, non c'è che dire. Si è detto che la tragedia è l'equivalente di un colpo di stato, ma è ovvio che non è cosí. kaczynsky è stato sostituito dal presidente della camera, del partito liberal-democratico, che era di già il grande favorito alle prossime presidenziali. Le divergenze con il nuovo premier sulle relazioni con la Russia riguardavano solo il tipo di relazioni diplomatiche da tenere.
Della serie, che facciamo quando incontriamo Putin per strada, gli giriamo la faccia o gli facciamo un saluto di pura cortesia?
Non era certo in discussione la collocazione politica della Polonia che era e resta il più filo-americano dei paesi dell'Europa continentale.

Lo sgomento e le lacrime da parte di Ala per la tragedia di sabato scorso non me li aspettavo. Pensavo che detestasse i kaczynski.
Si, non mi piaceva, ha detto, ma era comunque il presidente e il fatto che il disastro sia accaduto nello stesso luogo dell'eccidio di 70 anni fa è una tetra simbologia che lascia sgomenti.

Lei crede che si sia potuto ripetere, con conseguenze peggiori, quanto già verificatosi due anni fa. Pare che all'epoca dell'attacco Russo, kaczynski diretto a Tblisi per portare solidarietà ai Georgiani abbia letteramente costretto all'atterraggio il comandante che titubava per le avverse condizioni metereologiche.
Sei un militare, non puoi avere paura! gli disse.
In seguito quel comandante fu trattato alla stregua di un disertore e costretto a dimettersi.
Non so se sia andata veramente cosí ma questa è la sua interpetrazione.

sabato 10 aprile 2010

L'ora dei dubbi


primavera belga

Il rientro dalle vacanze è di norma un periodo critico per l'espatriato. E' quando inizia a nutrire più dubbi e domandarsi come sarebbe potuto essere se avesse fatto scelte diverse.

Il ricordo delle vacanze appena trascorse è ancora fresco. La famiglia, le giornate di bel tempo, gli amici rincontrati, le mangiate, i 10-15 gradi in più, la curiosità altrui per quanto si ha da raccontare, sono tutte cose ben stampate nella memoria.
Poi egli ritorna e trova giornate primaverili ma non troppo. La città ora appare più aliena di come sembrasse prima di partire. Si torna ad essere uno dei tanti.

E' questo contrasto tra realtà e ricordi a generare questo stato d'animo fatto di dubbi e rimpianti.
Si tratta pero' di suggestioni, scaturite da una percezione distorta del reale, che portano a delle conclusioni sbagliate. L'errore sta nel confondere lo straodinario con l'ordinario, le vacanze con la quoditianità.

Perché quello che si è appena vissuto non sarebbe affatto la normalità una volta rientrati in Italia. In una vacanza breve non si ha a che fare con burocrazia, malasanità, trasporti scadenti, ambienti di lavoro opprimenti. In questi brevi intervalli si prende il meglio e si evita il peggio. E' da qui che nasce l'equivoco.

Faccio un salto indietro quando anni fa fui dislocato dalla mia società a Milano per per un progetto pluriennale. La permanenza in Lombardia fu lunga.
Chi emigra al nord non trova la barriera linguistisca certo, ma nemmeno l'ambiente cosmopolita e variegato che c'è qui. A Milano la società e più asfittica e segmentata in comparti stagni. Ci sono i locali, gli immigrati poveri tagliati fuori da tutto, e poi i meridionali. Tra questi il volume della lamentazione può diventare assordante. L'isolamento e l'avversione sociali che li circonda spesso provocano in loro un lento ma costante scollamento dalla realtà.

Sviluppano un'immagine quasi iconografica delle terre d'origine. Si seleziona tra i ricordi e si prende solo quanto in essi c'è di bello. Il cibo, il clima, l'accoglienza, il paesaggio. Il sud diventa un paradiso immaginario dove la sola cosa che manca è il lavoro. Ci fosse quello l'idillio sarebbe completo.
All'epoca ero meno impermeabile a queste suggestioni ed i periodi di vacanza non facevano che alimentarle. Qualcuno da Napoli poi mi diceva che lavorare in sede era tutt'altra cosa, che l'ambiente era allegro e goliardico, un po' come tornare al liceo. Insomma tutto meglio, eccetto i rimborsi trasferta.
Finché la società decise di cambiare politica. Fece rientrare tutti in sede dove si lavorava per gli stessi clienti ma in remoto.
La realtà delle cose spazzò via presto ogni illusione. La vita da pendolare divenne un incubo. Al lavoro si faceva manutenzione di sistemi vecchi sviluppati un decennio prima con tecnologie ormai obsolete. L'ambiente era opprimente, la pressione alta, il servilismo insopportabile con pratiche gestionali ai limiti della legalità e un'imbarazzante sudditanza verso gli uffici milanesi e romani. Non di rado le promozioni venivano decise sulla base di logiche di appartenenza e giochi di corridoio. La giovialità dei colleghi era spesso di facciata e proporzionale alla propensione a compiere bassezze. Le rivalità venivano deliberatamente alimentate. Il salario non superava di molto la soglia di sussistenza.

Quel periodo mi è stato utile e mi ha per aiutato a sgombrare la mente da ogni equivoco, da ogni suggestione o percezione errata. Certo dell'Italia mi mancano molte cose, e tornarci in vacanza mi fa sempre piacere. Viverci in pianta stabile è però tutt'altra storia.

sabato 3 aprile 2010

Fantozzi travels


Anversa, pizzeria

In cambio della mia settimana elettorale italiana ho dovuto promettere ad Ala, al mio ritorno, una gita pasquale fuori porta in una destinazione a sua scelta. Scartate Londra, per i biglietti ormai troppo cari, Parigi, dove siamo stati di recente, Rotterdam in quanto poco attraente, le ho proposto Amsterdam.
-Amsterdam no, ché se no ve ne andate al quartiere a luci rosse.
-E che c'è bisogno di andare ad Amsterdam? basta che vai dalle parti della Gare du nord...
-No, nononnono, non vi sopporto, tu e Peter, con tutte quelle donne in vetrina...

Allora viene fuori Essen, in Germania. Pare che ci sia un lago, un castello, un bel centro storico, e che gli alberghi costino poco. Il giorno prima alla gare centrale compriamo i tre biglietti, 11 euro a tratta. C'è un treno ogni 60 minuti, e ci vuole poco più di un'ora. Preparo tutto, 24ore, spazzolino e dentifricio. Siamo quasi sulla soglia di casa pronti per uscire quando sento Ala esclamare:
-Oh, oh c'è un problemino.
-Che problemino?
-C'è una seconda Essen, ehm, in Belgio...
-Se ho capito bene mi vuoi dire cioè che il biglietto è per una e l'hotel prenotato nell'altra?

Avevo capito bene.
Ala è quella che qualche mese fa, dovendo andare in aeroporto, prese il treno nella direzione sbagliata e finì a Leuven. Riuscì comunque ad arrivare in tempo dato che in aeroporto di norma ci va 5 ore prima. Ed è la stessa Ala che qualche anno fa, dovendo attendere per quattr'ore a Madrid una coincidenza, credette, insieme ad altri due polacchi rintronati, di avere il tempo per poter uscire dall'aeroporto, andare in centro, visitare la città, ritornare all'aeroporto, ripassare i controlli ed imbarcarsi. Presero lo stesso l'aereo, ma solo perché il volo partì con due ore di ritardo.

-Ma almeno è un bel posto quest'altra Essen?
-No, è un cesso puzzolente.
-Meglio o peggio di Battipaglia?
-Uguale.

Disdiciamo l'albergo. Informo Peter che sviene per le risate. Confermiamo però l'appuntamento alla gare centrale per scegliere una destinazione alternativa. Decidiamo per Anversa, che è sulla linea per Essen, con ritorno però in giornata. Facciamo la fila per modificare i biglietti.
-Scusi, vorremmo cambiare il biglietto per Anversa, Si può avere un rimborso parziale?
-No, non si può, dice l'addetto.
-Vorremmo allora anticipare il ritorno di un giorno, si può?
-No, no, non si può. Assolutamente no.
-Ma come no?
Dietro di lui c'é un tizio che si contorce come un pitone al suono del pifferaio. Bisbiglia qualcosa nell'orecchio del bigliettaio. Alla fine otteniamo l'anticipo del ritorno, ed il rimborso della differenza. Rimborso, non buoni per futuri utilizzi. La procedura sembra complessa e la fila resta bloccata per 15 minuti.
-Ci siamo sbagliati, dice Peter, dopo tutto siamo umani anche noi!
-Lo vedo che siete umani, replica il bigliettaio. Bontà sua.

Anversa è una bella città (vedi slideshow in fondo al post). Certamente meno caotica di Brussels. Siamo nel cuore delle Fiandre, il ricco nord del Belgio. L'architettura del centro storico è tipicamente fiamminga e ricorda molto la Grand Place. L'equazione linguistica qui è più semplice da risolvere. Si parla olandese, ed in mancanza inglese, come dovunque. Il francese è meglio evitarlo.
La giornata è luminosa ma battuta da un vento freddo e trasversale. Troviamo un buon ristorante in un angolo nascosto, dove mangiamo bene e paghiamo poco. Il pomeriggio scorre piacevole. C'è un sacco di gente, le zone dello shopping sono affollate.

Al ritorno il treno, passata Schaerbeek, rallenta prima di entrare alla gare du nord. Ad un certo punto Ala sobbalza sulla sedia. Dinanzi a noi, in fondo alla massicciata, scorre lenta una lunga sequenza di vetrine lato strada. Dietro di esse aitanti e svestite signorine mettono in bella evidenza le loro grazie.
Fu così che Amsterdam, completamente riabilitata, rientrò a pieno titolo nel novero delle destinazioni possibili.