sabato 29 agosto 2009

Perché non è mai facile integrarsi in un altro posto




E' interessante quanto dichiarato da Rosina, ex calciatore del Torino trasferitosi di recente allo Zenit Pietroburgo. Rosina parla della sua nuova avventura, della città che trova affascinante. Ma la parte significativa è quando descrive i rapporti con i suoi nuovi compagni di squadra.
"Qui a San Pietroburgo sono riuscito a legare con il portoghese Fernando Meira, con l'o­landese Ricksen e con l'un­gherese Huszti. I russi, in­vece, stanno per conto loro e raramente danno confi­denza. Ma non è una que­stione di razzismo. Credo sia proprio un lato del loro carattere: sono riservatissi­mi".
Ma anche gli irlandesi sembra siano riservatissimi. Attenzione, si dice in tanti blog, la gentilezza degli irlandesi non va oltre una cortesia di facciata. Si parla di spirito celtico.
Lo stesso viene detto nel blog dove si parla di Barcellona. I catalani, per ragioni storico-culturali, non sarebbero cosí pronti ad aprirsi a i nuovi arrivati.
Stessa cosa a Milano dove non esiste nemmeno la barriera della lingua. , si dice, dipenderebbe dall'ostiltà sociale che circonda gli emigrati provenienti dal sud.
Ma anche nel mio anno spagnolo, e non era Barcellona, mi è capitato di ascoltare argomenti simili. Bisogna capirli, si diceva, con tutti questi turisti solo di passaggio non hanno cosí tanta voglia di investire in relazioni destinate a dissolversi presto.
Quanto al Belgio fino ad ora non ho avuto miglior fortuna. Molte conoscenze, qualche amico ma tutti rigorosamente europei espatriati o immigrati a seconda del livello di correttezza politica che si vuole utilizzare nella formulazione. Belgi zero. Certo in ufficio vengono tutti da fuori Brussels, i corsi di lingua li frequentano gli stranieri, lo spirito, anche qui si dice, è quello del nord ma il risultato è lo stesso. Conosco una sola persona che, di padre inglese e madre napoletana, belga lo è solo nella forma.

Ci si appella a specificità locali, a situazioni contingenti ma se il fenomeno diventa universale è ovvio che c'è di più. La ragione alla fine è ovvia e sarebbe davanti in bella vista.
Sfugge per mancanza di empatia, per l'incapacità di saper ragionare, per un attimo, con la testa dell'altro.
Uno arriva in un posto ed ha bisogno di ricostruire la propria esistenza, trovarsi nuove amicizie, creare una rete di conoscenze, infittire le relazioni umane e colmare un deficit di socialità.
Non ne ha bisogno invece chi in un posto già ci viveva e magari c'è nato. ha familiari, partner, amicizie e relazioni. Dispone di una griglia di connessioni sociali consolidata nel tempo con un fisiologico e minimale tasso di ricambio.

L'esistenza umana è composta da un numero non infinito di unità di tempo e se ne investe in relazioni sociali solo una frazione piccola. Dunque una persona, che si trova nel suo ambiente naturale, ne intraprende una nuova solo se questa fornisce valore aggiuntivo, perché per portala avanti probabilmente dovrà sacrificarne qualcuna esistente. Per farlo dunque il gioco deve valerne la candela. I filtri applicati diventano più rigorosi di quelli di un nuovo arrivato che per necessità di cose applica criteri meno rigidi.

Chi si trasferisce sa dall'inizio che, a prescindere da latitudine e longitudine del luogo di destinazione, quella che va a giocare è una partita in trasferta, contro i favori del pronostico ma non persa in partenza.
Parlando di impiego, si dice che un datore di lavoro a parità di qualità tenda a preferire un indigeno a chi viene da fuori. Per cui quest'ultimo per essere scelto deve apportare qualcosa in più. Credo che sia valido, grosso modo, anche per le relazioni umane.

13 commenti:

  1. Bellissimo post!
    Da Italiano che vive per scelta a Stoccolma da ormai un anno dico che è tutto vero. Con i colleghi indigeni si esce qualche volta, ma sempre quando loro non hanno niente di già organizzato.

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  2. concordo pienamente, mi sono trovato anche io nella stessa situazione, anche se devo dire che in Bulgaria feci subito un sacco di amicizie

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  3. sottoscrivo tutto, davvero un bel post.

    Nella mia esperienza in Irlanda di un anno e mezzo ho avuto sempre un gran feeling con i colleghi in ufficio, tanto e' vero che ex colleghi irlandesi ancora mi inviano email, a distanza di 3 mesi, in una corrispondenza carina ma che non supera mai la soglia di una certa confidenza, ma va bene cosi'. Uscivo sempre con ragazzi di mezza Europa e solo dopo un anno una ragazza irlandese si uni' al gruppo e devo ammettere che ne e' nata un'amicizia, e' venuta anche a trovarci qui a Bruxelles, ma e' stata nettamente una eccezione. E anche qui si profila lo stesso, mezza Europa ma non belgi e l'unico ragazzo belga con cui esco e' un amico conosciuto a Dublino e che ha lasciato l'isola giusto qualche mese prima di me, ci siam ritrovati qui, prima entrambi stranieri, ora lui di casa, insomma forse dovremmo girare davvero mezza Europa prima di integrarci bene in ogni dove?:)

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  4. @Kralizek,
    E' vero, anche io ho notato la stessa cosa nella mia esperienza personale.
    Grazie per il commento.

    @Andima, Michele
    Volevo aggingere che ovviamente esiste il lato opposto della medaglia. Ossia quando poi l'amicizia con gli indigeni si instaura, come nel caso vostro, quella diviene un'amicizia di grande valore in quanto più autentica e non figlia di necessità o solitudine.

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  5. vale pure per los angeles.
    ho tante conoscenze pero'ho anche sempre quella sensazione che chi mi conosce benebene sta altrove.
    e io mi sento sempre divisa.
    valeriascrive

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  6. bellissimo.
    Sottoscrivo.....
    Non e' facile, ma non per questo bisogna insultare il paese "ospitante" e la sua gente bollandoli come razzisti. Pratica purtroppo molto comune tra i turisti permanenti in Irlanda, ma, a questo punto, immagino ovunque e da parte di chiunque (ovvero spagnoli in irlanda, tedeschi in Spagna, portoricani negli Usa, italiani a Londra, etc.)
    E lo dico con profondo dispiacere e senza polemiche.

    Credo che invece tu abbia, di nuovo, colto nel segno.

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  7. @Valeria (Crazy Time),
    Non preoccuparti, noi che conosciamo solo il tuo lato virtuale continueremo a seguirti.
    Leggete il blog di Valeria, è supèr come dicono qua.

    un saluto

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  8. @Bacco,

    Il razzismo esiste, non va sottuvalutato, ma nello specifico non è la ragione, per lo meno quella principale delle difficoltà.
    E poi quanto più aumenta il livello d'istruzione delle persone tanto più il razzismo tende a diminuire.
    Esiste più in ambienti che normalmente frequentiamo poco per cui non lo sento troppo come problema, personale diretto intendo ovviamente dire.

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  9. Non ti crucciare, ci vuole tempo. I Belgi sono curiosi e accoglienti come non te lo immagini nemmeno.

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  10. Infatti, sono arrivato che non parlavo nessuna delle due lingue nazionali. No, no non è stata certo colpa loro. Come dici tu ci vuole tempo.

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  11. Cavolo, sto provando le stesse tue considerazioni!

    Proprio nel mio ultimo post, parlando dei leaving party, sono arrivato alla stessa conclusione grazie anche al commento di altri bloggers!

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  12. Ottima analisi,condivido pienamente.

    Hai colto un ottimo punto: "esistenza umana è composta da un numero non infinito di unità di tempo e se ne investe in relazioni sociali solo una frazione piccola. Dunque una persona, che si trova nel suo ambiente naturale, ne intraprende una nuova solo se questa fornisce valore aggiuntivo, perchè per portala avanti probabilmente dovrà sacrificarne qualcuna esistente. Per farlo dunque il gioco deve valerne la candela."

    Questo e' un aspetto interessante del rapporto tra autoctoni ed immigrati. A volte la nostra aspettative di legare subito con gli autoctoni e' delusa dopo poco tempo. Riservatezza o politica del valore aggiunto? Penso che la risposta sia nel mezzo.

    Basti pensare ai nostri atteggiamenti da autoctoni nel nostro territorio. Di certo chi ha avuto modo di lavorare con immigrati in Italia avra' avuto modo di vivere il punto che tu descrivi con estrema chiarezza.

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  13. Penso anch'io che la risposta sia nel mezzo. Riservatezza e espansività potrebbero essere in fin dei conti l'espressione esteriore di una maggiore o minore domanda di socialità.

    L'autoctono finisce per essere più riservato in quanto più prossimo ad uno stato di equilibrio. Il contrario per chi arriva.

    Poi quando siamo noi ad essere gli autoctoni facciamo lo stesso ma lì però non ce ne accorgiamo. Sono d'accordo con te.

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