giovedì 25 luglio 2013

La retorica dei cervelli in fuga

 


Dammi due parole. Fuga e cervello.

La fuga. Certo il termine fuga è figlia di una spettacolarizzazione mediatica.  Da un tocco di eroismo all'azione, mette il protagonista al centro della scena e evoca il cattivo del film che te la vuole impedire. La realtà delle cose è molto più prosaica. La scelta di chi parte avviene nell’indifferenza più totale. Dopo un mese  il resto del mondo, ascendenti esclusi, si  è scordato della sua esistenza e Quelli che restano si sentono un po' più larghi, felici di avere un problema in meno da risolvere.

Detto questo, resta il fatto che dei 2,5 milioni della nuova emigrazione la maggior parte non emigrerebbe se trovasse le condizioni per non farlo. Molti partono per i motivi più diversi, per il desiderio di vedere altro, di esplorare. La maggior parte peró resterebbe se potesse. Per cui il termine fuga, per quanto melodrammatico, è quello dei due che va meno lontano dalla realtà.
(L'idea di fuga sarebbe smentita se a fronte di italiani che decidono di 'realizzarsi' in Svezia, Irlanda o Belgio ci fosse un flusso equivalente e di segno opposto di Svedesi, Irlandesi e Belgi che vengono a 'ritrovare' se stessi in Italia).

É sul concetto di cervello che l'asino sembra cascare. Si è detto che un cervello è colui che decide di fornire i propri servigi ad alto valore aggiunto altrove, in tal modo avvantaggiando un paese diverso da quello che lo ha formato.
Ma tradizionalmente un cervello non era colui che con la  sua azione avvantaggia l’umanità intera? Che ne aumenta il patrimonio di conoscenza? Un capolavoro letterario è a disposizione di tutti,  una scoperta medica importante diventa patrimonio universale. Se qualcuno parte e i vantaggi del suo operato sono localizzabili esclusivamente nel paese in cui opera è proprio quella la prova che in non si è in presenza di un cervello.

Inoltre, é perfettamente normale che 'un cervello' emigri. Le dimensioni ridotte di un paese, la divisione intenazionale del lavoro spingono altrove chi ambisce a soddisfare determinate ambizioni. Se aspiri a mandare l’uomo su Marte un paese come l'Italia ti può stare stretto. Se ti ambisci a fare l’impiegato in ufficio dovrebbe bastare e avanzare.
Visto che l’emigrazione dei cervelli è cosa normalissima, mentre quella di tutti gli altri no, che si fa?
Si fa rientrare nel concetto di 'cervello' quello di lavoro qualificato. Cervello diventa chiunque parta avendo in tasca un diploma o una laurea e si fa passare per normale anche l'emigrazione anche di chi in realtà dovrebbe agevolmente trovare collocazione in patria.
Questo è il fine ultimo della retorica dei cervelli in fuga. Occultare il fallimento di una nazione.

2 commenti:

  1. Hai ragione. E secondo me i problemi più gravi sono:

    1)Nessuno straniero o quasi viene a fare un lavoro per cui si richiede istruzione superiore in Italia.

    2) Se uno volesse tornare troverebbe porte chiuse e forte ostracismo.

    Alla fine, basta non guardarsi indietro. L'Italia è persa, il mondo è grande e bello. Meglio così, almeno ce ne vediamo bene.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Concordo appieno. É inutile guardarsi indietro.
      Il declino italiano ormai è andato troppo avanti.
      Si è superato il punto di non ritorno. E anche se cosí no fosse la cosa non riguarda questa generazione.

      Elimina