giovedì 23 dicembre 2010

A proposito di emigrazione

La scelta tra restare ed emigrare è sempre personale. Si decide sulla base di propensioni, desideri e situazioni personali. E al dilemma restare/partire non c'è mai una risposta univoca  buona per tutti.
Detto questo, metto fine al disclaimer politically correct che non fa mai male e che evita grane. Pero', pero'.....

C' è qualcosa che non mi torna in molte delle discussioni che riguardano il tema.
Quando infatti si compila la classica tabellina dei pro e dei contro, alcuni punti vengono, a mio modo di vedere impropriamente, inclusi nella colonna dei contro.
L'errore di partenza sta nell'attribuire all'emigrazione cambiamenti percepiti come negativi e che in realta' si produrrebbero comunque. Ed è tra l'altro tutto da dimostrare che si tratti di trasformazioni in negativo in primo luogo.
Non e' un male infatti lasciare la casa del padre. Fa parte anzi di una sana fisiologia esistenziale. Semmai il male sta nel caso opposto; il restarvici troppo a lungo. Che i genitori, nonni e fratelli siano destinati a contare meno nella vita di un individuo e'  un fatto ineluttabile che non dipende dal luogo di residenza. Il rimedio non e' protrarre l'adolescenza all'infinito. Cercare di rivivere all'infinito infanzia ed adolescenza e' un esercizio vuoto che spezza la prospettiva temporale e costringere a vivere in un passato che comunque non ritorna.

Ma anche il distacco dagli amici di un tempo e la necessità di trovarne di nuovi sono cose che con tutta probabilità si produrrebbero comunque. Perche' e' la vita ad essere cosi'. Si cresce, cambiano i gusti, i giudizi, gli interessi, le prospettive. Cambia quello che accumunava e che in seguito non accomuna piu'. E se non emigri tu magari lo fa chi ti sta attorno. Molto spesso anche chi resta si trova a frequentare persone diverse rispetto a quelle che frequentava dieci anni prima.
L'atto di emigrare e' soltanto un fattore scatenate, qualcosa che accellera quanto sarebbe avvenuto comunque. Il cambiamento adesso sembra piu' drammatico, ma solo perche' ne viene meno la gradualità  Ed e' solo per questo che se ne da, impropriamente, la colpa alla decisione di partire. 

A volte poi la scelta di rimanere a casa ha poco a che fare con gli affetti ed e' invece legata alla volontà di continuare ad utilizzare le risorse della famiglia al fine di aumentare il proprio benessere senza doversi prendere la briga di doversela cavare con le proprie forze nel mondo cinico e baro. Ma in questo caso si sta parlando di qualcos'altro che con l'emigrazione c'entra poco.

In piu' c'e' una considerazione da fare che riguarda i meridionali. Restare in Italia spesso non vuol dire affatto restare a casa, se per casa si intende un luogo con indirizzo preciso e coordinate geografiche esatte.
Invece restare in Italia vuole dire troppo spesso doversi sospostarsi in poche determinate città situate in una o due regioni. Magari ci dedichero' un post alle ragioni per cui ritengo preferibile per il terrone scegliere di trasferirsi, laddove si puo', in una capitale europea invece piuttosto che al nord Italia.

E' stata un'attesa eccessivamente spasmodica, che ho notato in giro, per l'arrivo di queste festività natalizie a darmi lo spunto per queste riflessioni.
Ed e' anche per questo che adesso vi devo lasciare. Devo andare a scrivere il clamoroso post prossimo venturo sull'imminente festa del solstizio d'inverno.

8 commenti:

  1. tra l'altro, dovremmo ancora parlare della famosissima sindrome di pulcinella, che io e te conosciamo bene. Si. Per un terrone meglio una citta' Europea rispetto al nord italia.

    Quelli che tu dici che decidono di restare hanno un nome. Si chiamano Bamboccioni (pace all'anima di Padoa Schioppa). Ma pure quella e' una definizione che non piace molto.
    Sai com'e', ci si sente chiamati in causa.

    Happy Christmas.

    Bacco1977

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  2. Secondo me andare all'estero è comunque una cassa di risonanza per alcune tematiche che colpirebbero anche chi da Messina vada a Milano, per esempio. Certo, oggi le distanze si contano in ore di volo e magari vivendo all'estero lo stipendio permetterebbe anche di tornare più spesso, ma non sembra accadere spesso, almeno per esperienze personali e conoscenti. Chi lascia Salerno per andare a Roma torna mensilmente a casa, chi lascia Napoli per andare a Milano può tornare ogni due mesi e sente meno quella mancanza, quell'assenza che sentirebbe chi è emigrato a Madrid o, se proprio vogliamo esagerare ma è pur sempre un emigrante, a Sidney, perché sì l'emigrante non è solo quello che si sposta in Europa, quello è facile e diventa sempre meno emigrante a mio avviso. Poi c'è un altro fattore che distingue l'emigrante da chi da Messina va a Milano: si cambia paese, lingua, cultura, abitudini. Va bene, va bene, le cambi anche da Messina a Milano, lo so, ma qualcosa di italiano rimane, che ti identifica e che magari perdi all'estero, che sia il giornale che prendi nella metro, il canale in tv, le insegne, la gente, etc, qualsiasi cosa. E non voglio dire che questo sia un male, sia chiaro, anzi, può essere sicuramente un bene, dipende dai punti di vista e dai compromessi personali, come sempre. Per questo non sminuirei il problema dall'assenza dell'emigrato, certo sarebbe accaduto comunque, ma secondo me rimane una cassa di risonanza.

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  3. In effetti dei meridionali al Nord non so se ricordi ma ne avevo parlato in un vecchio post.
    Comunque ho in animo di riprendere l'argomento.

    Ma nemmeo io ci vado pazzo per il termine bamboccione specie quando i ministri lo usano per mascherare difficolta' oggettive come la disoccupazione giovanile al 25%.
    Pero' e' anche vero che solo in Italia si ritiene di farvici fronte vivendo sulle pensioni dei nonni.

    Comunque Buon Natale anche a te

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  4. @Andima,
    Il problema dell'assenza non lo voglio mica sminuire. Pero' posso fare riferimento alla mia esperienza personale. Quando ero a Milano non mi sentivo meno lontano da casa di quanto mi ci senta ora. E i miei li vedevo piu' o meno lo stesso numero di volte che li vedo ora. Tornavo qualche volta in piu' ma per periodi ingenere piu' brevi. Siamo la'. E i miei amici erano quasi esclusivamente meridionali trapiantati.

    Per risponderti con completezza dovrei in effetti scrivere il post che ho in mente. Pero' non e' mia intenzione banalizzare i problemi.

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  5. da assiduo tuo lettore (ed ammiratore) nonche' emigrante meridionale in attesa di vedere il suo volo per napoli sbloccato sul pannello delle partenze a ginevra (!!!!), mi riconosco in ogni tua riga, avendo vissuto sulla mia pelle l'emigrazione (ed i sentimenti che citi) da salerno a roma, milano, londra, bruxelles ed ora ginevra...

    credo si debba aggiungere che emigrare pero non e per tutti, nel senso che non tutti sono destinati a staccarsi da tutto cio che tu citi ma solo alcuni (forse insofferenti ai compromessi ed alla noia) come noi.

    buon natale

    massi

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  6. Grazie Massimiliano,

    E' vero. Non tutti possono o vogliono emigrare. Resta una scelta personale.

    Comunque grazie per gli apprezzameti e
    In bocca al lupo per il volo e Buon Natale anche a te.

    Vinz

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  7. Assolutamente, meglio all'estero che al nord, dove credono di essere superiori, ma in realtà hanno gli stessi difetti dei meridionali, ma li mascherano meglio. La cosa triste è quando incontri i settentrionali all'estero, e ripropongono le stesse divisioni anche li. In realtà non capiscono che siamo tutti italiani agli occhi degli altri, e che lo stesso Mr. B., con tutta la sua alterigia ed ignoranza, è lo specchio fedele della provincia settentrionale.

    Gattosolitario

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  8. Condivido a pieno. E' l'intensita' dei difetti che varia ma quantita' e tipologia coincidono.
    E comunque il nord e' molto piu' vicino al sud che all'Europa. Piu' di quanto piaccia ammettere.

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