giovedì 26 agosto 2010

Swinging London



Il centro di Londra spunta all'improvviso, innannunciato, nel buio all'uscita di un tunnel. Per semplificarci la vita avevamo prenotato l'albergo dalle parti della stazione a St.Pancras. 80 sterline a notte. La camera è angusta e polverosa con scale sgangherate e solai ondulati ricoperti dalle più lerce delle moquet, il frastuono che sale da Euston road è assordante. L'angusta stanza ristorante gronda di turisti italiani dediti alla ridicolizzazione della colazione, eggs & bacon, degli inglesi. A me invece piace un sacco. Forse al mio fegato meno.

Londra è una città soverchiante. Soverchiante è la presenza umana, le sue dimensioni, la quantità di cose da visitare e da fare, l'oceano di bar ristoranti musei, cinema, teatri, il movimento frenetico 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Incessante è anche il frastuono del traffico e lo spostamento d'aria ad ogni passaggio di un bus double-decker.
La crisi economica non sembra aver scosso per niente le abitudini degli inglesi che continuano a spendere, spandere e fare debiti.

Si ha l'impressione di essere giunti nella capitale dell'impero. Come poteva magari apparire Roma 2000 anni fa ai nuovi arrivati. Del resto è la capitale del paese che è riuscito ad imporre al mondo la propria lingua, le proprie idee economiche, le proprie abitudini e che nell'era post-industriale ha fatto man bassa nella finanza e nei servizi lasciando agli altri solo le briciole.

E' multirazziale, come Bruxelles con la differenza sostanziale che nessun gruppo o etnia è veramente dominante. Nessuna presenza, almeno in apparenza, è tanto invadente da creare un sottosegmento quasi extraterritoriale o extralegale. Certo la città è più presidiata, ci sono camere CCTV ovunque, polizia e personale di sicurezza hanno modi ben più spicci dei loro omologhi belgi. Eppure l'impressione è che, più che dalle scelte dei governi e della politica, ciò sia dipeso in maggior misura dalle proporzioni più grandi e dal dinamismo economico che almeno fin ora hanno aiutato a digerire ed assimilare i nuovi flussi.

Al netto dei fitti londra non è poi così cara come mi sarei atteso. Lo sono di sicuro i trasporti, che peró funzionano benissimo. Quanto a bar e ristoranti l'offerta è così vasta e la concorrenza così forte che alla fine si spende quello che si decide di voler spendere. In più i musei sono gratuiti.

Basta un colpo d'occhio per ricordarsi di essere a Londra. I bus rossi, i taxi tipici, i 'look right' impressi sull'asfalto, il 'mind the gap' della metropolitana, le cabine del telefono lasciate deliberatamente anche quando non servono quasi più. Dopo 17 anni trovo Londra uguale a se stessa e al tempo stesso profondamente cambiata. Direi con 17 anni di storia in più. Il vetro e l'acciaio delle nuove costruzioni affianca l'antico dei vecchi edifici nei più audaci degli esperimenti architettonici. Vista dal Tamigi sembra un'altro posto.
Colpisce, pensando all'Italia, la quasi totale assenza di manufatti con più di cinque secoli. A cui fa da contrappeso l'imponente rinnovamento urbanistico degli ultimi decenni. Quanto cioè in un Italia, tronfia di boria post-rinascimentale e al tempo stesso soffocata da villettopoli ed ecomostri, avrebbe fatto rizzare i peli sulla schiena ai gatti.

Londra merita la reputazione che ha. Se questo poi basti per decidere di fare le valige e trasferirvisi non saprei. Di sicuro non ci si può permettere di guadagnare poco. Al lavoro ci si passano più giorni e più ore che altrove. Le distanze sono spesso estenuanti con il metro che ingurgita e vomita gente a getto continuo. In certe stazioni solo per raggiungere i treni ci si impiega 15 minuti. In più per la prima volta dopo molti lustri è comparsa la disoccupazione giovanile. Per chi cerca lavoro senza esperienza oggi è più dura che in passato.
Nonostante ciò non ho dubbi, Londra è la più stimolante tra le capitali raggiungibili in due ore di eurostar da Bruxelles.

mercoledì 18 agosto 2010

Il razzismo degli ultimi arrivati


gare du midi - mercato

Lavare le finestre del nuovo appartamento era l'ultima cosa che ci restava da fare. Troppe e troppo sporche per aver voglia di sprecarci su mezzo weekend. Ricorriamo così ai servigi di una signora polacca sulla sessantina. Ad un certo punto in un francese alquanto approssimativo mi fa.

-Sono veramente sporche queste finestre. Ci dovevano abitare dei marocchini prima.
In realtà il nostro predecessore era irlandese.
Non è una novità qui a Bruxelles. I commenti più pesanti sugli altri immigrati vengono proprio da coloro da cui ci aspetterebbe ben altra comprensione.

Tempo fa iniziammo a cercare casa ad Anderlecht. Qualcuno ci aveva detto di trovarcisi bene. Decidemmo allora di  chiedere ulteriori informazioni sul quartiere in una pasticceria italiana.
Non sia mai, ci disse la titolare. La situazione va di peggio in peggio, ogni giorno al metro St. Guidon , per una ragione o per l'altra deve intervenire la polizia. Ormai i marocchini ci stanno cacciando. Era negli anni 70 quando siamo arrivati noi che qui si stava bene.
Non le passò nemmeno per l'anticamera del cervello l'idea che negli anni 70 qualcuno potesse aver lasciato il quartiere a causa loro. Il punto di vista è senza sfumature. Gli italiani venivano per lavorare e produrre. I marocchini per sporcare e delinquere. Dicono marocchini, ma intendono maghrebini e più in generale musulmani.

Una giornalista del TG belga fa una gaffe imperdonabile definendo il primo ministro incaricato, Di Rupo, riflessivo malgrado le origini italiane e subito qualcuno risponde che è la comunità maghrebina che degrada, quella italiana lavora e produce.
Ormai questa concezione revisionata e romantica dell'emigrazione nostrana guadagna sempre più popolarità tra gli italiani. Quella era l'emigrazione dei poveri ma belli, costretti a partire per necessità, ma pronti a fare la fortuna dei paesi ospitanti. Il terreno per il razzismo contro gli altri, senz'altro sporchi e cattivi, è così spianato.
Sarebbe ora però che questi revisionisti dell'ultimo ryanair si andassero a documentare meglio su quello che è stata l'emigrazione italiana. Con il suo seguito di macro e micro criminalità, violenza povertà, degrado e sporcizia. Basta leggersi un qualunque testo sull'emigrazione italiana o andare a vedere quello che si diceva dei nostri.
Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l'acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno ed alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri.....(continua)
Perché quegli italiani erano cattivi? No. Perché questo è il volto sgradevole e poco iconografico della povertà. Perché questa è spesso la storia di chi deve lasciare il proprio paese per fame.

Sorprende la gaffe del tg essendo i belgi molto attenti su queste questioni. Misurano le parole, si attengono al politicamente corretto. Sui media, e devo dire anche in privato. Si guardano bene dall'usare il linguaggio di molti dei nuovi arrivati.
E invece la stagista ungherese, il contrattuale rumeno, la donna delle pulizie polacca, il tecnico dei cavi italiani, quelli no. Quelli entrano a gamba tesa. Non tutti sia chiaro, ma di sicuro in troppi perché il fenomeno possa essere trascurato. Il loro repertorio è insistito e variegato.

-I musulmani se ne dovrebbero andare. Non hanno diritto di stare in Europa che è cristiana.
Loro con la valigia ancora da disfare che intimano lo sfratto a chi magari qui c'è nato.
-Quando c'è mercato la zona della stazione midi non si può considerare Europa ma Africa.
mi piacerebbe tanto vedere i mercati ortofrutticoli nei loro paesi.
Non si fanno prigionieri.
-Il politically correct è l'ipocrisia dei nordeuropei. Noi invece siamo franchi e non abbiamo paura a dire quello che pensiamo.

-Questi belgi hanno un paese socialista e non lo sanno. Con i loro welfare state non fanno altro che far proliferare la feccia ed il parassitismo.
Ti ripropinano poi la favoletta d'Eurabia. Ti sommergono di stereotipi sugli arabi e sugli africani.

Qui non ci sarebbe nemmeno bisogno di documentarsi. Sarebbe sufficiente aprire gli occhi. Osservare quanti sono gli autisti, i commessi, i lavoratori edili, gli addetti alle pulizie, ma anche insegnati di francese, colleghi d'azienda, capi delle risorse umane di origine maghrebina. E che dire di tutti quei negozietti di prossimità aperti quasi sempre, domeniche e festività incluse, e che ti permettono di trovare qualunque cosa ti possa servire in qualunque momento? Da chi sono gestiti quelli? Non significa questo arricchire la nazione ospitante? Possibile che ci si accorga solo degli hooligan di Bockstael?
Ma non c'è speranza, come nel caso dell'emigrazione italiana, della realtà come al solito si prende quello che più si adatta alla tesi che si vuole sostenere.

mercoledì 11 agosto 2010

The euro space center

 

Euro space center - moon walk

Lo European space center è una buona meta per una gita di un giorno specie nei giorni di pioggia che qui non si fanno mancare. Si trova a Transinne, ad un ora da Bruxelles poco oltre Namur.

All'andata, giusto per ammazzare il tempo, ci cimentiamo su un irrisolto dilemma della metafisica su cui da sempre si arrovellano i belgi. Come mai in Olanda, Francia, Germania ed Inghilterra c'è il sole e qui piove?
La nuage de Fantozzì la chiamano a Namur. Pensa come ce la invidiano in questo momento in Russia.

Al centro la visita costa 11€ e dura due ore. Si inizia con una prova di moon walking. Il visitatore viene appeso come un sacco di cetrioli ad una molla gigantesca. L'addetto gli intima di iniziare a zompettare con tutti gli altri che dalle panche e dalla balaustra battono le mani, ritmano col piede ed intonano Anvedi come balla Nando in olandese.

Poi si continua. C'è una proiezione, viene mostrato tutto quello che gli europei sono riusciti a mandare nello spazio nel corso degli ultimi decenni. Viene in mente Caparezza (Cacca nello spazio) ma è sbagliato. Sono cose molto utili. Si tratta infatti di satelliti per le comunicazioni, per le tv, per la metereologia. Basti pensare che è in fase di ultimazione il sistema Galileo, ben più performante del suo omologo statunitense, il GPS. Finalmente sarà possibile spostarsi, ci dicono raggianti, senza sapere dove, come, perché.

C'è poi lo show multisensoriale, il tempio dei pianeti, una riproduzione dell'international International Space Station e una del cilindro di simulazione dell'assenza di gravità.
La gravità invece hanno pensato bene di lasciarla sulle passerelle e sulle scale in ferro ed è per quello infatti che mi ci sono fragorosamente schiantato contro.

Spaziali sono anche i prezzi dell'annesso self service. Si decide allora per il pizza hut sulla via del ritorno il cui menu pizza a volontè è a quanto pare il metodo più efficace per assumere nel più breve tempo possibile le fattezze dell'omino Michelin che tanto ben si addicono al moon walking. Ma ormai siamo fuori tempo massimo.

martedì 3 agosto 2010

Agosto in città


piscina poseidon, metro tomberg

E' un'estate a scorrimento lento. Dopo la canicule d'inizio luglio le temperature si sono abbassate di diversi gradi. Non piove ma il sole è sparito dal paesaggio. L'umidità soffocante dell'Italia è un ricordo lontano. Che sia estate lo si percepisce dagli uffici decimati dalle partenze, dal traffico che scorre fluido ma che non sparisce del tutto, dalla difficoltà a trovare persone ancora in città per uscire la sera.
A differenza dell'Italia la vita non si ferma, tutto continua a funzionare magari a scarto ridotto, dai cinema ai locali, dal commercio ai mercatini rionali, dagli impianti sportivi ai trasporti. L'introduzione dell'orario estivo non è quell'ecatombe di treni e bus tipica delle metropoli italiane.
Chi vuole anticipare o posticipare le vacanze può farlo senza patimenti eccessivi.
La radio parla di un incremento delle presenze turistiche con gli alberghi pieni per più del 60%. Non male per una città i cui arrivi sono in genere legati all'attività economica ed istituzionale. Del resto domenica pomeriggio non era facile trovare posto a sedere nei bar del centro.

Mi viene in mente un post dell'estate scorsa dove confrontavo le mie ultime estati in Italia a quella belga e giungevo alla conclusione che quest'ultima, a conti fatti, è il male minore. Questa volta però sono più preparato. Il rapporto con la non-estate non è più soltanto di resistenza passiva ed attesa che passi.
Non ci vuole molto. Basta accettare l'idea di essere in Belgio e non in Italia e spezzare il binomio estate-mare per spalancarsi nuovi orizzonti. Quest'anno nella frescura del nord inizio a trovarci delle ragioni di godimento:

-Innanzitutto ora abito al centro. Il fisiologico ticchettio del'orologio non è più inesauribile fonte di angoscia. Se si sfora ci sono i night bus. Se non ci sono i night bus si cammina. Non c'è luogo del centro che non sia raggiungibile in 30-40 minuti di cammino.

-La bici. Non potevo immaginare che l'avversione alle quattro ruote potesse rendere questo ritorno al passato un fonte inesauribile di soddisfazione. La uso ogni volta che posso e mi metterò a lutto quando la brutta stagione me ne impedirà l'uso.

-Ci sono le piscine. Quelle pubbliche sono numerose. Abbastanza buona è il Poseidon a Woluwe, fermata metro Tomberg. La vasca è di 25 metri, c'è idromassaggio, sauna e docce calde. Piuttosto ben tenuta. Con circa 10€ ci siamo finanziati ingresso (3€), 25 minuti di idromassaggio (1€), e più che decente croque madame con bibita(6€).

-Le escursioni. Non c'è periodo migliore per sfruttare la centralità geografica di Bruxelles. La lista di mete raggiungibili con spostamenti corti è pressochè infinita. Basta evitare il mare del nord ed è fatta. E per noi un week-end lungo a Londra è già in cantiere.

-Le letture. Cosà c'è di meglio di qualche distensiva lettura estiva come ad esempio The third reich in power di Richard J. Evans o Le plein, s'il vous plait sulle catastrofi alle quali l'umanità andrà incontro quando il petrolio sarà terminato e il cambiamento climatico avrà dispiegato tutti i suoi effetti? Lo vendono in promozione 2 + 1 alla nuova fnac della Toison d'Or in abbinamento al primo al solo scopo di aumentare il livello di serenità della popolazione.

Infine un'inatteso sussulto alla placida piattezza della stagione che viene definita calda è arrivato dai risultati del Cambridge proficiency. Di questo esame ne avevo parlato un mese fa in un post. Ce l'ho fatta, per il rotto della cuffia ma ce l'ho fatta, 65/100 ( pass mark con C). Essendo 60 il punteggio minimo grasso che cola non ce n'è molto.
Del resto se ai tempi del ginnasio me ne andavo a festeggiare per un 6 e mezzo a una versione non vedo perchè adesso dovrei stare a spaccare il capello in quattro per lo stesso risultato ad un esame livello C2 d'inglese.
Prima o poi mi toccherà dire a cosa mi dovrebbe servire questo certificato ma per quello ci sarà tempo.