martedì 29 dicembre 2009

La nonnocrazia


Eboli, via L. Da Vinci, affissione abusiva passibile di sanzione

Per la propaganda l'Italia si sarebbe grosso modo salvata dallo Tsunami finanziario che ha devastato i paesi anglosassoni. Osservando però le cose più da vicino si scopre facilmente quale sia l'uovo di colombo che il genio italico si è inventato per conseguire un tale risultato. Un welfare state sui generis fondato sulle pensioni dei nonni.

La crisi globale è frutto dell'impoverimento delle classi medie il cui potere d'acquisto si è ridotto costantemente negli ultimi 30 anni. Questo fenomeno è globale e dipende dallo spiazzamento tecnologico e dal prevalere dell'ideologia neo-liberale. Dovendo però gioco forza mantenere alto il livello dei consumi si è pensato bene di consentire alle famiglie di indebitarsi fino alle orecchie, fino al collasso del sistema.
Ma in Italia siamo notoriamente più intelligenti degli altri. In particolare poi in meridione si sa che "nisciun è fess". E allora ci siamo inventati una sorta di stato sociale parallelo alle vongole fondato sui redditi dei nonni. La nonnocrazia.

Basta andare per strada in una giornata di festa per comprendere. Ci vedi gente più o meno giovane, elegante, che fa sfoggio di telefoni e vestiti. Preparano le vacanze invernali e pianificano quelle estive. Qualcuno ha messo famiglia ed ha prole.

Ma trattasi di un benessere artificiale, di panna montata, fatto di affitti pagati dai genitori, conti cointestati, nonne babysitter, mutui poggiati sui patrimoni di famiglia, elargizioni continue ed incessanti. In pochi potrebbero consentirsi un simile carnevale autofinanziandosi con i redditi miserabili che il mercato del lavoro offre. Per andare avanti si attinge alle risorse della famiglia d'origine. Si prende senza neanche chiedere. Si da per scontato che gli anziani non abbiano altra aspirazione che farsi carico dei problemi dei figli anch'essi ormai senescenti.

Per secoli sono stati i figli a prendersi carico dei genitori anziani. Ora la logica è innaturalmente ribaltata. Queste sono cose note a chiunque conosca la società italiana. Ma la novità sta nel salto di qualità che è ora in corso, proprio quando le crepe del modello iniziano ad essere visibili agli occhi più attenti. La nonnocrazia ha già toccato il suo iceberg, rappresentato dalla finitezza, ahimè, della vita umana. Le laute pensioni di un tempo presto spariranno per essere sostituite da quelle post riforma a mala pena sufficienti a sfamare il percettore.
Ed ecco che la voracità incontinente degli ex bamboccioni frustrati diventa ancora più aggressiva e violenta. Non basta più saccheggiare i redditi e il tempo degli anziani. Adesso sotto tiro iniziano ad essere i patrimoni.
Mi è stato detto di un tizio, tutto macchine e discoteche, che si è fatto finanziare per anni da genitori e zii le proprie glorie metropolitane non essendo il suo stipendiuolo adeguato alla sue manie di grandezza. Di recente ha chiesto ai suoi di vendere la casa dove essi vivono per finaziargli la relazione con la sua nuova fiamma. Di fronte al prevedibile rifiuto ha troncato i rapporti con la famiglia. Mi era capitato di raccontare in passato una storia simile in un altro post.

Cartelli pubblicizzanti immobili invenduti sono dovunque. Il crollo del mercato immobiliare è ormai nell'aria anche nelle province dell'impero. I cenoni di capodanno sono destinati ad essere un clamoroso flop. Si vendono persino meno fuochi d'artificio. Le feste di quest'anno sono tutt'altro che serene.
Non ho mai creduto alla retorica della società civile migliore della politica che esprime. Piaccia o non piaccia, la politica non è che lo specchio fedele della popolazione. Spero di sbagliarmi ma non vedo in questa Italia le qualità per risollevarsi dalla situazione nella quale si è cacciata prima che sia troppo tardi. In queste condizioni anche dire Buon Anno può apparire come un esercizio di sarcasmo.

giovedì 24 dicembre 2009

Natale in casa Sobieski


Il natale in Polonia è fantastico. Specie se sei polacco.
Gli alloggi non sono grandi. Si sa, il comunismo era malvagio e costruiva appartamenti piccoli. Se poi nell'appartamento piccolo ci schiaffi dentro, padre e madre, fratello e sorella, zia e zio con le stampelle (povero lo zio, vedere post precedente), pelosissima gatta persiana ed infine ospite terrone allora si che comincia il divertimento.
Darius, il fratello, ha molto a che lamentarsi. Una lamentazio di sottofondo ad intensità costante, un po' come il rumore delle galassie. Ma anche papà Sobieski borbotta molto, moltissimo.

-C'e' tuo padre che sta facendo un lungo discorso.. - ieri dicevo ad Ala a tavola
-Tu non c'entri niente, fa sempre cosi' - ha risposto annoiata come se stessimo parlando della radio.

La cosa mi ha dato grande gioia e mi ha riempito il cuore di compiaciuta soddisfazione. E' la prima volta, credo in decenni, che qualcuno si lamenta nelle mie vicinanze ed io non ne sono la causa.

Nei paraggi della casa di Ala non c'e' nulla di vagamente interessante che possa essere raggiunto camminando. Quanto all'inverno artico, esso ha avuto vita breve. Ieri e' arrivato il disgelo che come simpatico effetto collaterale ha anche crepato le tubature delle condotte idriche. Per cui non c'e' acqua. Credo trattarsi certamente di un castigo del dio degli acquedotti. Qualche tempo fa infatti, quando accade lo stesso ad Eboli a causa di un paio di acquazzoni, ebbi modo di dire ai miei di non essere più abituato a vivere in posti dove tagliano l'acqua per futili motivi.

I soggiorni in Polonia per me sono una sorta di limbo esistenziale. Non ho impegni di nessun tipo, non ho problemi di cui occuparmi. Passo il tempo leggendo, scrivendo boiate sul blog e trasformando i Christmas Carols polacchi in truculenti canti generalmente contro l'Inter. Posso farlo, nessuno spiaccica una mezza parola di alcunché che non sia polacco. Ho anche preparato la lista dei buoni propositi per l'anno nuovo. Si fa a capodanno, ma ne anticipo la compilazione essendo ormai chiaro che non ho un tubazzo da fare. Ecco la lista delle annunciazioni:

-Smettere di mangiare fuori e prepararmi il mio cibo
-Sperimentare qualche forma di vegetarismo.
-Trovarmi quanti più interessi possibile a costo zero.
-Comprare e leggere how I lived a year on just a pound a day .
-Partecipare alla Brussels Marathon, 20km, in primavera.
-Comprare una bici.
-Uscire dall'ambito claustrofobico degli expats.
-Chiudere i conti col francese ed iniziare l'olandese (ma non a gennaio!).
-Aprire un blog in inglese. Si tratterà di un blog monotematico su un unico limitatissimo argomento. Quando l'avrò aperto sarà più chiaro lo scopo.
-Potare gli stramaledetti olivi. A tal proposito mi riservo la settimana tra il 20 ed il 27 dicembre. Ma dato che una settimana non basterà mi riservo anche quella di capodanno, e qui siamo già nel 2011.

Nella speranza di non aver fatto confidenza eccessiva nel fatto di non essere letto da Ala, colgo l'occasione per fare a tutti i miei migliori auguri di buone vacanze e di un felice 2010.

domenica 20 dicembre 2009

L'inverno artico


L'aereo decolla da Zaventem con quasi due ore di ritardo e volteggia qualche minuto sul centro della città che le recenti nevicate hanno velato di bianco. Dall'alto Bruxelles ci appare appiattita e compatta prima di sparire dalla visuale dell'aereomobile che ora punta decisamente verso est. Il nord Europa sembra come ibernato dal gelo di questi giorni. Scorre lento in una lunga sequenza in scala di grigio a intensità diversa, come in una esposizione di foto d'arte in bianco e nero.
Il capitano ci avverte, all'atterraggio a Varsavia il termometro lo troveremo a -19.
Mi perdono la valigia. Secondo la versione ufficiale la colpa sarebbe di Bruxelles. La coda allo sportello e la pila dei bagagli non assegnati lasciano pero' più di un sospetto.

Fuori il fratello di Ala, Darius, si becca una multa di 50 sloty per essersi fermato troppo a lungo in zona di transito. Il poliziotto ci mette una vita a compilare il verbale lasciandoci mezz'ora nell'auto gelata. Darius ci dice di dover sbrigare alcune commissioni prima di poter partire per la destinazione finale. Passiamo per casa sua per ritirare la borsa, poi per il centro commerciale dove compro il minimo indispensabile essendo ora senza bagaglio.

Varsavia è una città' strana. La distribuzione urbana è estesa e rarefatta. Gli edifici sono distanziati. Gli interminabili spostamenti seguono stradoni lunghi e scuri, larghi e ghiacciati, trasbordanti di neve mal spalata. Non c'e' anima viva.
La monotonia s'interrompe al centro dove imperversano a ridosso delle gigantesche insegne luminose dei centri commerciali. E' un sabato prenatalizio. Il traffico si intensifica. Le auto restano a lungo in fila nel gelo prima di guadagnare l'entrata ai parcheggi.
La colonizzazione ad opera dei marchi della grande distribuzione internazionale, in un paese stremato da decenni di oppressione e miseria, non ha trovato nessun tipo di resistenza.
La Polonia fu il primo paese d'oltre cortina a passare negli anni novanta, prima ancora della caduta del muro, dal comunismo all'ultra-liberalismo reagan-tatcheriano, da un dogma all'altro, da socialismo reale a capitalismo reale. Di colpo e senza tappe intermedie.

Darius ci comunica di dover ancora consegnare le stampelle allo zio. Povero lo zio, penso, però le stampelle magari gliele poteva portare prima. Dopo l'ennesima interminabile traversata nel nulla lasciamo la città e facciamo rotta verso ovest. La radio dice che la temperatura e' ancora a -19 ma la si percepisce come se fosse a -25 a causa del vento freddo. L'inverno quest'anno viene dall'artico. All'arrivo le mie gambe sono agili e flessibili come due blocchi di granito congelati.

Diceva mia nonna ''mogli e buoi dei paesi tuoi". Non sono d'accordo. E' un proverbio sbagliato quasi quanto il più celebre "il tempo è denaro" la cui applicazione pratica e' causa di molti dei mali dell'umanità. Siamo quasi nel 2010. I muri sono caduti, le frontiere non esistono più. Viviamo in un'era d'integrazione e d'interscambi. No, uno un bue deve essere libero di comprarselo dove gli pare.

domenica 13 dicembre 2009

Post numero 50




Non ci fu una ragione precisa dietro la decisione di aprire il blog. Era un po' che seguivo silente i blog di altri italiani all'estero. L'avventura spagnola cominciava a mostrare tutti i suoi limiti. Consideravo l'Irlanda come possibile meta futura. Poi sulla ruota del destino venne fuori Bruxelles. Continuai, comunque, la lettura finché, forse per emulazione, forse per darmi una ragione per scrivere, forse per provare ad uscire dal guscio, decisi di inaugurare il mio.

Dopo 50 post non sono ancora sicuro di aver appieno compreso la vera essenza dello strumento. Scrivere in rete ha regole e segreti che ancora mi sfuggono. Non riesco a tenere corti i post, non riesco a concentrarmi su pochi argomenti contigui, non uso video che in rete funzionano meglio dei testi.

Non sono nemmeno capace di descrivere con precisione di cosa si tratti. Si dice che un blog sia un diario pubblico. Ma la definizione non rende. Certo è pubblico, quello è sicuro. Come in un diario può esserci la dimensione personale. Ma non è obbligatoria. Ci sono moltissimi ottimi blog che non dicono nulla sulla sfera personale dell'autore. Ma non è diario nemmeno dove la sfera personale esiste. Un diario è costituito dalla descrizione minuziosa degli eventi vissuti da chi scrive, tra questi pensieri ed emozioni, spesso slegati gli uni dagli altri e messi in fila dallo scorrere del tempo. Riprodurli pedissequamente in rete non ha molto senso:

Oggi ho visto una donna islamica con quattro figli. Berlusconi ha dato dell'abbronzato ad Obama. Ho provato a comprare una sciarpa viola e mi hanno riso in faccia. Un mio collega voleva andare in Puglia ma ha rinunciato perché costava troppo.
Non commestibile online. Ecco, un blog forse serve a dare un contesto ai fatti di un individuo. Il blog sta alla storia come un diario alla cronaca e magari il segreto di buon blog é costruirlo su un diario personale segreto.

Non dico mai a nessuno di avere un blog. Amici, colleghi, parenti non ne sono informati. Ne è a conoscenza chi ci è arrivato da solo. Non so ben spiegare questa ritrosia dovuta forse all'atteggiamento scettico dei tanti che lo considerano una sorta di stravaganza avulsa dalla realtà.
-Ah si? hai scritto questo? Dai dammi il link, poi lo leggerò

Ma scrivere in rete è qualcosa in più di un banale passatempo. Si scrive per se stessi in primo luogo, per tenere traccia della storia delle proprie idee. Ma il processo non è neutro. La trasposizione stessa, di riflessioni ed emozioni confuse ed annebbiate, in sequenze di lettere e parole è processo impervio pieno di sorprese con risultati imprevedibili. A maggior ragione poi quando il testo è destinato alla graticola della rete. Ed ecco che il pensiero nel suo stadio iniziale di impulso emotivo si raffina, si rielabora, si rafforza. Spesso il post che viene fuori è tutto diverso dall'idea iniziale che lo ha generato.

Leggendo i cavesi e gli altri irlandiani mi è sembrato a volte di condividere la loro esperienza. Certo vivere le cose di persona è un'altra cosa ma nell'impossibilità d'essere dovunque si va in Irlanda, in Svezia, in America tramite i racconti altrui. Ed è forse questa la vera essenza dei blog, quelli degli altri intendo. Ti allungano la vita. Nello spazio e non nel tempo, ovviamente. Allora scrivere il proprio è forse il modo per ricambiare il favore.

venerdì 4 dicembre 2009

No Berlusconi Day - I video

Eccolo qua. Il video che ho girato alla manifestazione. La videocamera è un po' vecchiotta però comunque è servita allo scopo di farsi un'idea di come sono andate le cose. Buona visione.

AGGIUNTA SUCCESSIVA:
Nel frattempo è venuto fuori il link al reportage della tv belga (ci sono anch'io!), la cui preparazione è visibile nel video.
Nella fervida attesa che servizi di questo tenore vengano mostrati anche nei telegiornali italiani, trovo molto positivo che inizi a diffondersi l'idea che il contagio mediocratico possa estendersi all'europa intera. Credo sia la ragione vera del successo della manifestazione brussellese (questo è stato il tema di un post precedente, la protesta degli italiani).

infine, un altro video di Paolabxll contenente anche le riprese dell'evento del giorno dopo a Charleroi.

No Berlusconi Day - come è andata.


Forze dell'ordine nei paesi civili

Giorno di NO BERLUSCONI DAY, Bruxelles.
Il colore dell'evento si è deciso fosse il viola, a simboleggiare lo stupro, le viole, della democrazia italiana. Nei giorni passati ho affisso il volantino in varie bacheche, dell'ufficio, della scuola fracese, ne ho parlato di persona agli italiani che conosco, ho messo un post sul blog della classe di francese. Unico neo, non avevo nulla di viola. Fatto 30 si fa 31, allungo ulteriormente la pausa, e parto per la mission impossible: reperire un indumento viola. Alle 11.30 passo per Square de Meeûs e non c'è ancora anima viva. Perlustro i negozi dello chaussée d'Ixelles. Alla C&A domando alla commessa se ha qualcosa di viola, una sciarpa un cappello "le violet pour homme!!!??? mais evidement non!!".
Esco e prendo una sciarpa da donna altrove. Ecco, per chi c'era, io ero quello ridicolo con la sciarpa da donna viola legata allo zainetto.

Ritorno a Square de Meeûs. Sono le dodici. C'è già un gruppetto di persone con striscioni e palloncini. Arrivano Andima e gli altri blogger. Ci stiamo ancora salutando che arriva la tv fiamminga. Vuole sapere se vogliamo rispondere a qualche domanda. Mi offro volontario. Mi chiede delle ragioni della protesta, dell' obiettivo che ci proponiamo. Blatero qualcosa tra il timido e l'impacciato. Forse finirò sul telegiornale fiammingo di stasera (qualcuno sa qual'è il canale? Il tg va in onda stasera alle 20).
Di media italiani invece nemmeno l'ombra. Ci penseremo noi a raccontare come sono andate le cose. Prendo la mia vecchia video camera e comincio a filmare.
Nel frattempo il numero di partecipanti cresce abbastanza ed il corteo può partire. DG giustizia, Parlamento europeo. Il traffico del quartiere impazzisce. Il corteo è colorato e rumoroso. Attira l'attenzione dei passanti, la gente dagli uffici saluta, incoraggia.
La marcia continua. Si passa accanto al Comitato delle regioni. Al consiglio della EU. Ormai l'europa sa di noi. Si arriva a Shuman, il palazzone della commissione è visibile sullo sfondo. Piove e fa freddo, ma questa volta la manifestazione sta riuscendo.

La bella notizia è che ci sono tantissimi giovani, tanti ragazzi delle scuole. Non ci sono bandiere di partito, l'età media è bassissima. La fantasia dei ragazzi è senza fine. Anche Andima è attivissimo. Ruba il megafono ad un organizzatore, inventa slogan a mitraglia.
E' giorno lavorativo, in molti iniziano a andar via. Nonostante questo la manifestazione non viene sciolta come avvenne l'altra volta. Un ragazzino dice che se non si fanno le due lui non si sposta.
Una signora mostra le foto di Falcone e Borsellino. Dice che le tiene esposte nel suo ufficio da 15 anni. Che lei giudica le persone in base a come reagiscono quando le vedono. Speriamo che si venga a sapere presto la verità su quelle stragi, le dico.
Sono le due meno cinque e a quel punto il megafonista fa partire il più azzeccato degli slogan, all'ultimo minuto, come il gol di Del Piero alla Germania, "Fuori la mafia dallo stato".

Nulla può esprimere meglio quello che veramente oggi si chiede: la mafia, e non soltanto il capo del suo ufficio marketing, fuori dallo stato. Lo si continuerà a chiedere domani a Roma, a Charleroi, Edimburgo, Dublino, in tutto il mondo.

Adesso corsa contro il tempo per il video...

venerdì 27 novembre 2009

Il vetro invisibile



Chi si trasferisce in un paese nuovo spesso attribuisce l'indifferenza da cui si sente circondato a pregiudizio, razzismo, xenofobia, sciovinismo, etc. Ovviamente questi sentimenti esistono. Il fatto poi che gli italiani, popolo tradizionalmente di emigranti, ne abbiano a lungo sofferto non fa che aumentare i timori dei nostri connazionali all'estero.

Concentrandosi eclusivamente su di essi, però, si rischia di trascurare altre cause dovute a fattori storici e culturali e che secondo me incidono in maggior misura. Provo a spiegarmi raccontando situazioni che fino ad ora ho vissuto.

Quando ho iniziato al mio lavoro attuale la mia compagna di stanza era una donna belga olandesofona che per semplicità chiameremo Assunta*. Mi invitò, credo per cortesia, ad unirmi al suo mini-gruppetto per la pausa pranzo che era composto da Gennaro* e dal giovane Ciro*, di cui Gennaro era il capo. Tutti fiamminghi.
Tutti i giorni dell'anno, implacabilmente alla stessa ora, si recano per il pranzo alla mensa del parlamento. Essa è popolata da un universo variegato di gente proveniente da ogni angolo d'Europa. I nostri eroi, però, sceglievano, e continuano a farlo, regolarmente il più isolato dei tavoli, possibilmente 'faccia al muro', verso i margini del gigantesco stanzone.
Ogni tanto mi interpellavano con qualche fugace commento in inglese riguardante in genere il clima belga e le mie scelte alimentari a loro giudizio ripetitive per poi perdersi in impenetrabili conversazioni nella loro madre lingua.

Assunta, nel frattempo, ha cambiato di stanza. Nel mio ufficio è arrivato Gaetano*, il super system architect di Atlanta, col compito di portare a compimento una notevole opera di razionalizzazione. Gaetano è un tipo gioviale ed amicone. Non spiaccica però una sola parola di francese.
Il primo giorno è venuto con me in mensa. C'erano i francofoni e ci siamo seduti accanto a loro. Questi però sono rimasti del tutto indifferenti. Non hanno mostrato curiosità per il nuovo collega, né si sono presentati, tanto meno si sono premurati di cambiare lingua per coinvolgerlo nella conversazione. Niente, come se fosse un fantasma. L'episodio, venendo da un tipo di cultura diversa, mi ha lasciato a bocca aperta, rassicurandomi però al tempo stesso. Era la prova finale che né io, né la mia provenienza, c'entravamo niente. Sono loro ad essere così.

Invece Assunta, va detto, è veramente insopportabile e l'antipatia è reciproca. Anche a Gennaro sono antipatico ma solo per induzione. Tempo dopo qualcuno mi ha riferito che in realtà stanno insieme. Che poi non me ne sia accorto per mesi forse è perché sono gonzo io o forse è perché sono merluzzi loro. Credo che, come sempre, la verità sia nel mezzo.

Al giovane Ciro (il protagonista del post 'vieni a ballare in pulia') invece non sto antipatico. Si ferma a chiacchierare nelle pause, una volta è persino venuto a trovarmi nella stanza. Il che, per i loro canoni, rappresenta un grande slancio di espansività.
Mi aveva detto di abitare in un piccolissimo villaggio fuori città con vista su campi popolati da vacche. Gli domandai dove andasse mai la sera. Mi guardó con l'espressione stupita di colui a cui è stato chiesto di firmare una cambiale in bianco: "La sera?! ma resto a casa!".

Chiaro che a queste latitudini anche la domanda di socialità è diversa e spesso è la dimensione prettamente domestica a prevalere. Espansività eccessiva, incontinenza emotiva, loquacità incessante sono valutati diversamente che altrove. Chi gesticola viene giudicato aggressivo. Contatti fisici quali pacche sulle spalle, strette di mano, non sono ben visti. Insomma è come se le persone fossero recintate da una barriera di vetro invisibile, che si reputa disdicevole valicare.
L'altro giorno avevo bisogno di un'indicazione stradale. Mi sono avvicinato a dei passanti. Nel tempo intercorso tra il rituale 'Scusez-moi' e la formulazione della domanda ho notato un certo irrigidimento che è svanito solo quando hanno riconosciuto la validità delle ragioni per le quali li interpellavo.

Mi viene in mente il post del poliglotta irlandese, dove fornisce qualche buon suggerimento su come socializzare all'estero, e dove racconta delle sue avventure in Brasile. Lí la situazione è completamente ribaltata. Dice che i brasiliani considerano un forestiero alla stregua di un amico che non hanno ancora incontrato. Chi non parla per più di cinque minuti a chi gli sta accanto viene scambiato per uno straniero che non conosce il portoghese, o peggio ancora per qualcuno che ha gravi problemi di comunicabilità.

Razzismo e xenofobia esistono dovunque. Ma non sono sempre la ragione di tutto quello che avviene. Spesso comportamenti, che ci sembrano sorprendenti, sono in realtà dovuti alle diverse consuetudini del paese che ci ospita. Ecco perché esserne consci ed imparare a saperle distinguere è fondamentale.

*La napoletanizzazione dei nomi fiamminghi è una tecnica che prendo a prestito dall'autore di un 'italiano in norvegia'. La trovo efficacissima allo scopo di parlare del peccato senza far menzione del peccatore ed di evitare al tempo stesso che qualcuno si scopra citato in un post in una lingua che non comprende.

martedì 17 novembre 2009

No Berlusconi Day - 4 dicembre Brussels



Data: venerdì 4 dicembre 2009
Ora: 12.00 - 14.00

Luogo: La manifestazione NO BERLUSCONI DAY a BRUXELLES sarà VENERDÌ 4 DICEMBRE, in Square de Meeûs alle ore 12:00. Da lì, dopo una sosta davanti alla DG JLS (Giustizia e Libertà) della Commissione Europea, e passando per la Place du Luxembourg, si andrà al Rond-Point Schuman.

Mentre per la prima volta il governo Berlusconi inizia a pagare in termini di impopolarità il peso delle sue nefandezze, un gruppo di blogger si mette in azione. Apre un sito su wordpress. Propone una manifestazione il NO BERLUSCONI DAY per il 5 dicembre. L'iniziativa decolla, le adesioni arrivano a 250.000 mila, aderisce Di Pietro, aderisce Grillo, ne parla repubblica.

Il PD, in fervida attesa di spiragli inciucisti, dice di lasciar perdere. Che ci penseranno loro a cacciare Berlusconi. Con la stessa flemma snervante che mettono in opera da 15 anni. C'è tempo, per ora c'è da far diventare D'Alema Mr PESC. A Berlusconi intanto le dimissioni non le hanno nemmeno chieste. Mi domando cosa mai si aspettino che un premier faccia (vedere 101 domande al reticente del consiglio) perché si sentano in dovere di chiedergliele.

A qualcuno tutto ció non va giù e si attiva sulla rete. La rete diviene l'imprevisto, l'imponderabile. La sola cosa che la P2 non è riuscita ad immaginare. La buccia di banana di chi pensava bastasse controllare TV e giornali per sigillare il regime.

Di cosa penso di Berlusconi, del Berlusconismo, della mediocrazia e del progetto di regime in fase avanzata di realizzazione ne ho parlato in diversi post su questo blog (La protesta degli italiani, Il governo del crimine, Alfano sucks, l'aria serena del sud, il caso Rai-Sky) e in qualche altro thread.

Invece qui vorrei sottolineare l'importanza di questa iniziativa che mi sta particolarmente a cuore perché nasce proprio dalla blogosfera. E' la dimostrazione che il pensiero e lo scambio di idee sono di per se già azione. Questa volta non mi limiterò a soltanto a participare perché è importante che essa abbia successo. Perché è solo da questo universo che può arrivare la rinascita nazionale.

Sulla nomenclatura partitocratica ed inciucista del PD c'è poco da fare conto.

domenica 15 novembre 2009

Lo sgombero


La settimana scorsa, mentre mi divertivo a cogliere olive nella quiete delle colline, a valle avveniva qualcosa che ha avuto una certa eco anche sui media nazionali, lo sgombero del «ghetto» nell'area di San Nicola Varco di Eboli, ad opera di polizia, carabinieri e guardia di finanza.
Per anni più di mille lavoratori immigrati nordafricani, per lo più marocchini ci hanno vissuto in condizioni disumane.
Con il paradosso che la vita di quegli africani, se possibile, è scivolata ancora più in fondo. Più ai margini. Espulsi da un’ex area mercatale occupata abusivamente. Ma poi
identificati e quasi dispersi per i campi (repubblica - edizione nazionale).

Siamo nella piana del Sele, in provincia di Salerno, pianura a forma di cuneo conficcata tra Costiera Amalfitana e Cilento. Tagliata in due dal Sele, fiume quasi integro, ospita i templi di Paestum. Zona di mozzarelle di bufala, che sebbene conosciutissime fuori come prodotto tipico dell'Italia, appartengono quasi esclusivamente a questo triangolo di pianura, oltre che alle terre di Gomorra a nord di Napoli.
I terreni, un tempo paludosi e collocati su falde acquifere gigantesche, sono fertilissimi. Vi si coltiva di tutto per 12 mesi all'anno. Le aziende agricole della zona esportano per milioni e milioni di euro. Questo idillio però richiede ancora sacrifici umani. Continua l'articolo:
...L’ipotesi avanzata dalla Cgil è che [gli immigrati] siano stati “graziati” perché «i grandi imprenditori ortofrutticoli della zona - come spiega Michele Gravano, segretario regionale della Cgil - dovrebbero chiudere senza quella forza lavoro». Tutti fuori. Regolari e clandestini accomunati da un’unica sorte: essere sfruttati per 22 euro al giorno, dopo 14 ore di lavoro quotidiane. D’estate, a raccogliere fragole e pesche. Oggi, piegati su finocchi e carciofi. E il resto dell’anno nelle serre...

Eccola qua la faccia inconfessabile della tolleranza zero, delle ipocrisie indegne del law and order. Il non detto che tutti conoscono. L'immigrazione clandestina esiterà sempre perché fa comodo poter disporre di gente ricattabile e senza diritti. Che non può iscriversi ad un sindacato, che non può appellarsi ad un giudice, che può essere denunciata in qualunque momento (vedere a tal proposito il reportage dell'espresso di qualche anno fa, io schiavo in puglia).
Ora immaginiamoceli 1000 immigrati ancora lì, non espulsi, non identificati, ancora a disposizione dei caporali. Semplicemente privati del loro alloggio di fortuna. Dispersi all'addiaccio nei campi. Per la mitologia in Campania c'è sempre il sole ma la settimana scorsa ha piovuto ininterrottamente per 4 giorni di fila.

Qualcuno si è comunque mobilitato per offrire aiuto, vestiario, coperte, vettovaglie. Sbagliatissimo a detta dei ben pensanti. Questa gente non va aiutata. Si deve far in modo che se ne vadano. Niente di più.
Mia madre mi riportava questi commenti ieri al bar dell'aereoporto, proprio mentre al tavolo accanto una giovane donna straniera con un bambino, chiedeva l'elemosina ad un signore molto distinto e ben vestito. Sarà stato un parlamentare o un eurocrate dato che poi l'ho rivisto sull'aereo.
-Se ne vada! le ha urlato platealmente, Non vede che sto mangiando!?

Il problema è proprio quello, che lo vede.

sabato 7 novembre 2009

Date a Cesare quel che è di Cesare


L'altro giorno Marco Travaglio* ha preso posizione a favore della presenza del Crocefisso nelle aule scolastiche, presenza minacciata da una sentenza della corte europea di Strasburgo.
Travaglio argomenta:
Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”).

Trovo queste considerazioni assolutamente condivisibili. Nelle predicazione di Gesù Cristo trovano posto i punti di vista più radicali che si possano immaginare, anche nel contesto attuale. Il rifiuto incondizionato della violenza e del militarismo, del materialismo consumistico, della pena di morte, del razzismo, della xenofobia, fin'anche dell'evasione fiscale. Nelle sue parole non c'è traccia della sessuofobia ossessiva imposta da chi è venuto dopo.

Purtroppo la storia del Cristianesimo non è finita con Cristo. C'è stato un seguito pieno di cose nobili, ma anche di incredibili nefandezze compiute nel nome del crocifisso che ha finito per diventare il simbolo di una parte. Una parte alla quale si può decidere di aderire o di non aderire. Ecco perché il suo posto non è sul muro di una scuola. Perché ad una religione aderiscono gli individui, non le istituzioni.

Provo a spiegare meglio il mio punto di vista cambiando contesto.
In Francia e Belgio è molto accesa la discussione sulla laicità dello stato. Qui la bandiera della laicità viene sventolata dalle destre in funzione anti islamica. Ci si appella ad essa per vietare il velo nelle scuole.
Era capitato di parlarne in classe durante il corso di francese. Il professore approvava il divieto assoluto dell'uso del velo islamico. Qualcuno gli ha chiesto se per coerenza non debba essere vietato anche il crocefisso. Certamente si, ha risposto lui, convinto di dare una risposta ovvia. E badate bene, qui si discute di uso personale dei simboli religiosi.

Bene. Io questo ultimo punto di vista non lo condivido. Sia per quanto riguarda il velo islamico, se questo diventa la condizione che la famiglia pone alle ragazze per poter uscire di casa. E' meglio che a scuola ci vadano comunque. Sia per quanto riguarda il crocefisso. Se uno studente desidera indossarlo o esporlo sul proprio banco deve poterne avere la facoltà. Non sarei nemmeno contrario se a farlo fosse un professore. Perché la scelta resterebbe comunque individuale.

E' l'atto di appenderlo sul muro di una classe che non va bene. la scelta diventa collettiva. La maggioranza si arroga il diritto di scegliere per la minoranza. La collettività adotta una fede rendendo confessionale quello stato che di essa ne è l'espressione.
Si presume quindi che ogni cittadino aderisca alla confessione pubblica. Chi non lo fa diviene eccezione, ergo un problema. E' evidente l'elemento vessatorio verso quelle che si presume essere minoranze, i cui appartenenti vengono spinti a sentirsi dei disadattati.
E' inutile dire che la qualità di una democrazia la si valuta dal modo in cui vengono trattate le minoranze. Le maggioranze vincono sempre anche nei regimi.

Ma torniamo a Gesù. Il "porgi l'altra guancia" non è mai stato realmente rispettato da coloro che dichiarano di esserne seguaci. Tanto meno oggi quando imponenti armate cristiane occupano Iraq ed Afghanistan.
C'è invece un'altro principio di fondamentale importanza. "Date a Dio quel che è di Dio, date a Cesare quel che è di Cesare". Leggendolo bene ci si accorge che è stato Gesù medesimo a stabilire la separazione tra stato e chiesa. Gesù, nato sotto l'impero romano con un imponente potere politico e militare già costituito fu il primo a teorizzare lo stato laico.
L'implementazione di questo precetto è stata alla base di molti dei successi dell'occidente. L'Islam, che per secoli è stato una civiltà molto più avanzata di quella Europea, ha perso il proprio vantaggio per il fatto di non disporre di un principio equivalente.

Ecco perché non va appeso il crocefisso in aula. E' stato Gesù a dircelo.

*Vorrei comunque, a prescindere dal tema dell'articolo, esprimere apprezzamento a Marco Travaglio per il lavoro che fa quotidianamente raccontando le cose incredibili che avvengono di questi tempi nel nostro paese. E ce ne vuole di coraggio nell'Italia di oggi.

venerdì 30 ottobre 2009

L'Europa dei sindromati


A Brussels hanno luogo moltissime iniziative, anche di grande valore, che però vengono pubblicizzate poco e male.
Questa settimana, ad esempio, ci deve essere certamente stato un raduno di sindromati di cui non ho avuto notizia. Perché ne ho incontrati di tutti i tipi e di tutte le provenienze.
So che il termine è fonte di forti controversie in altri luoghi della blogosfera. Forse i protagonisti degli aneddoti che sto per raccontare non lo sono nell'accezione originaria che l'autore (lyndon) ha voluto dare al termine.
Ma da queste storielle viene la conferma del fatto che andare all'estero è qualcosa che va al di là della ricerca di un lavoro e dell'apprendimento di un minimo di euroenglish.

Episodio numero uno. Takeaway libanese, dietro place Jourdan. Kebab place come tutti gli altri se non fosse per una meravigliosa salsetta a base di melenzane arrostite, che chiamano Baba. Il locale è pieno. Ci sono bambocci delle scuole dovunque. Due ragazzi si siedono accanto a me e al mio collega. Sono gli ultimi posti liberi rimasti.
Parlano una lingua dell'est europeo che riconosco immediatamente, il polacco.
Sono loquaci. Sono curiosi come possono esserlo ragazzi di quella età alla prima esperienza all'estero. Ci tengono a sapere cosa ne pensiamo del loro paese. Gli dico di Ala. Ma che coincidenza! Anche loro conoscono una amica che sta con Italiano. Un siciliano. Poi aggiunge col sorriso sulle labbra:
-E' un mafioso. Tutti i siciliani sono mafiosi.
Lo dice come se stesse dicendo la più grossa ovvietà. Come che nel Sahara fa più caldo che al polo sud, o che di giorno c'è più luce che di notte.
Ci dice poi che Varsavia è diversa da Bruxelles. Non ci sono stranieri e musulmani. Reda, l'uomo del Marocco, impallidisce. Perché, domanda, in Polonia odiano gli stranieri?
Ma no, non li odiano. Sono loro che emigrano e che vanno a rompere le scatole altrove. Non è la prima volta che sento persone dell'est europeo fare affermazioni pesanti, sugli arabi, sui cinesi, sull'Italia, sui neri, con la massima nonchalance, con il sorriso sulle labbra. Non sono il solo ad averlo notato (are the czechs more racists?).
Ammettiamolo, a 20 anni dalla caduta del muro la cosa inizia a diventare un problema ed il trattato di Lisbona continua ad essere bloccato dalla Repubblica Ceca.

Episodio numero due. Vagone della metropolitana. Una ragazza chiede a qualcuno, in francese con accento di legno e le E contundenti, se il treno arriva a Baudouin. Lui le dice di si, che non si può sbagliare, quello è il capolinea. Lei però non si fida, chiede ad una altra persona, poi ad un'altra ancora. Tutto il vagone viene costretto ad occuparsi delle sue vicende. Le hanno detto, lei ripete, che col metro ci si sbaglia facilmente (mi avrà letto? gran metro Bruxelles). Ma lei ha un incontro importante. Però non conosce la linea. Normalmente si sposta in auto. E' per quello che insiste a domandare...mica per altro.
Alla quinta replica della litania intervengo brutalmente in italiano con il tu.
-Fidati, va al capolinea. Abito a due fermate da lì e va al capolinea. 100%.
Ovviamente ha continuato a non crederci ma, per lo meno, ha smesso di affliggere l'umanità. E' rimasta in piedi per tutto il viaggio, guardando con angoscia il tabellone del percorso, con fare tremulo e preoccupato.

Ultimo episodio, il più truculento. Bar dell'ufficio. Siamo in coda per il caffè. Davanti a noi ci sono tre italiani, siciliani. Parlano ad alta voce. Uno di questi chiede alla barista che la tazza gli venga riscaldata. Forse teme contagi. Non in francese, non in inglese ma in italiano con forte accento. Lei gli fa intendere che non capisce cosa vuole esattamente. Quello si inalbera ed alza ulteriormente la voce. Che ci vuole, le dice sbraitando ed indicando il macchinario, basta passarla sotto il getto di vapore. Ottiene quello che vuole e se ne va al tavolo.
Intanto al bancone è partito un dibattito, in francese.
La barista si lamenta. Dice che è ordinaria amministrazione. Con gli italiani è sempre così, arrivano, non dicono per favore, danno ordini imperiali, se ne vanno e non ringraziano nemmeno.
Generalizzazioni certo, ma se nel piccolo mondo di una persona che lavora ad un bar, uno, poi due, poi tre italiani si comportano così allora il campione per lei diventa universo. E allora non ha senso nemmeno abbozzare una difesa d'ufficio, che ho comunque di malavoglia tentato, facendole presente che non tutti si comportano così.
La verità è che oggi dell'italiano medio c'è da vergognarsi.
Nel frattempo i nostri eroi ignari della discussione che avevano scatenato continuano a discutere dei fatti loro ad altissima voce. Il tipo della tazza inizia a lodare Berlusconi e ad inveire contro il giudici comunisti che lo perseguitano. Farà sicuramente parte della folta schiera di sostenitori della destra che adorano la Polonia ed i paesi dell'est, paradisi di purezza etnica, senza immigrati e musulmani, pieni di belle donne in fervida attesa del maschio italico, senz'altro mafioso, ma tanto tanto macho e ben vestito.

sabato 24 ottobre 2009

Il reperto


A Bruxelles ci sono arrivato dalla Spagna. C'ero rimasto undici mesi. Si dice che un soggiorno all'estero inferiore all'anno va considerato turismo. Il periodo spagnolo però due eredità me le ha comunque lasciate. Una più virtuale, e qualche volta ne parlerò, l'altra molto più materiale ed ingombrante. Prende le forme di un ciclomotore Aprilia dietro il quale c'è una lunga storia.

Ad Alicante Ala ci metteva mediamente un'ora, per lo più in attesa dell'arrivo dell'autobus, per raggiungere l'ufficio sebbene in linea d'aria abitasse a soli 500 metri da esso.
Era separato da casa da una landa sterrata e disabitata, tagliata in due da un canale non attraversabile. La strada di collegamento era invece un'arteria a doppia corsia interdetta ai pedoni.
Niente di meglio che comprare uno scooter di seconda mano se non fosse che per un minuscolo, irrilevante dettaglio. Per registrare l'acquisto serviva il patentino, che lei non aveva. Per ottenere il patentino doveva iscriversi ad un corso. Per iscriversi al corso doveva ottenere un certo NIS che è qualcosa di mezzo tra codice fiscale e numero di previdenza sociale.
Finì così per entrare in una specie di loop burocratico kafkiano. L'ufficio preposto di questi codici ne rilasciava solo una ventina al giorno. Per quanto presto andasse la mattina non faceva mai in tempo. Ci provò una due, tre volte e alla fine rinunciò. Il motorino finì dimenticato in un garage. Il palazzone dell'ufficio rimaneva , beffardamente dinanzi al balcone di casa della sventurata costretta ad attendere il bus per ore sotto il solleone spagnolo. Fino a tre settimane dalla partenza per Bruxelles quando ci si ricordò dello scooter.
-Lo vendiamo, dissi.
Trovammo un compratore che però non si presentò.
-Allora ce lo portiamo a Bruxelles, rilanciò Ala.
-A Bruxelles?? Ma sai quanto ci viene a costare???
-Nulla, ci disse l'impiegata dei traslochi, motorino o non motorino il trasporto in camion costa lo stesso.
Farsi i fatti propri no?
-Allora lo portiamo! Fece lei.
Poi scoprì che per i funzionari comunitari c'era un altro ufficio con la coda molto più corta. Ottenne il numero e si iscrisse al corso. Superò l'esame a dieci giorni dalla partenza. Ottenne il patentino uno due giorni prima e quasi all'ultimo istante lo immatricolò e lo consegnò alla ditta per il trasporto.

A Bruxelles l'incubo kafkiano riprese. Il motorino, che non aveva ancora percorso dieci metri, andava reimmatricolato ed assicurato in Belgio. Trovammo qualcuno che lo assicurò senza cambio di targa.
Una sera decisi di farne uso per recarmi da un amico. Non ho mai guidato motorini in vita mia. I miei si erano sempre rifiutati di comprarmene uno negli anni dell'adolescenza. Il conseguimento dell'autonomia economica giunse quando ormai avevo già sviluppato una sorta di terrore sacro per tutto ciò che non fosse a quattro ruote. Per arrivare al centro da dove abito si deve attraversare Molenbeek, quartiere islamico, teatro spesso di insurrezioni e scontri con la polizia.
Benché il motore mi si spense ad ogni semaforo l'attraversamento dei ghetti brussellesi fu la parte meno pericolosa della serata.
Cosa avrebbe fatto, ad esempio, la polizia in presenza di un motorino appartenente ad una polacca, guidato da un italiano, con targa spagnola ed assicurazione belga? E non solo. A ridosso del quartiere europeo mi ritrovai catapultato sulla corsia centrale di rue Belliard, stradone a senso unico che di corsie ne ha cinque. Le vetture mi sorpassavano a destra e sinistra a tutta velocità. Avevo il casco stretto di Ala e gli specchietti mal avvitati a penzoloni. Faceva un freddo boia nonostante fosse il 27 luglio. Riuscii non so come a uscire da rue Belliard giusto 100 metri prima dell'omonimo tunnel. Mancai però la traversa dove abitava il mio amico e dovetti fare un nuovo giro della morte su rue Belliard. All'arrivo avevo un colorito del volto da fare invidia all'incredibile Hulk.
Il mio amico, centauro provetto, mi rimise a punto il veicolo per il ritorno che fu senza intoppi. Lo parcheggiai davanti casa dove è rimasto senza che nessuno lo toccasse più per mesi. Ha subito un tentativo di furto. E' rimasto in balia dei vandali del quartiere che gli hanno fregato gli specchietti e lo hanno rovesciato al suolo più volte. Ala, che per inciso non ha la più pallida idea di come si guidi un motorino e ne è terrorizzata più di me, nel frattempo si è convertita a sogni di altro spessore.
Alla fine abbiamo avuto la brillantissima idea di spostarlo dinanzi ad una chiesa senz'altro dedicata a qualche santo protettore dei ciclomotori. Se poi il miracolo si è prodotto per l'intercessione del santo o per la presenza dei tre, quattro alberi su cui si danno convegno tutti i corvi di della zona, questo non lo so. Sta di fatto che da allora i vandali lo evitano come la peste.
Il veicolo è ormai un pezzo dell'arredo urbano. Un mese fa c'è stato nel quartiere il mercatino dell'usato con i venditori disposti intorno allo scooter interamente scacazziato di bianco dai corvi.

Temo che il fotoromanzo sia destinato a continuare.

domenica 18 ottobre 2009

Torna nella tua terra, terùn



Avvertenza: arrivare alla fine prima di bollare il post come inutile :-)


Qualche giorno fa in un servizio del telegiornale (il link al video è in fondo al post) c'era un certo, Giuliano Bignasca, esponente della Lega. Si lamentava della presenza di certi lavoratori stranieri nel proprio territorio. Diceva che bisognebbe mettere un freno a tutto ciò, specie in un momento di crisi come questa.
Il numero di questi stranieri, dice il servizio, è costantemente aumentato nel corso degli anni, da 32000 del 2002 a 44500 del 2009.
Basta, dice Bignasca, con una massa di 20000 disoccupati locali bisogna chiudere le frontiere e tornare al sistema di una volta quando era la polizia ad attribuire i permessi di lavoro.

La Lega si è impadronita dell'argomento per fare il pieno dei voti ad ogni consultazione elettorale.
Poi il servizio continua con l'intervista a due esperti. Il primo, Stefano Modenini, capo della locale associazione imprenditoriale e cerchiobottista alla De Bortoli, riconosce che questi stranieri sono indispensabili al mantenimento dell'attività. Però, continua, ci sono problemi specie nel settore dei servizi e la politica se ne deve fare carico.
Un secondo esperto di mercato del lavoro fa notare che esistono dei settori, l'industria ma anche quello delle costruzioni dove l'utilizzo di questi lavoratori stranieri supera il 50%, e a volte il 60%, della forza lavoro impiegata. E si domanda cosa ne sarebbe senza di essi.

E dunque direte voi, sono decenni che si sentono questi ragionamenti, dov'è la novità?
Da nessuna parte. Se non fosse che quello di cui parlo era il telegiornale svizzero, Bignasca è il capo della Lega Ticinese e i lavoratori in questione sono i frontalieri italiani residenti nel nord della Lombardia che si recano ogni giorno in Svizzera per lavoro.
Bignasca arriva a proporre la revoca di 500 permessi concessi per ogni miliardo di franchi che lascia il Ticino per effetto dell'amministia fiscale, come viene definito lo scudo fiscale nel servizio. Fantastico. Mafiosi, evasori e tangentisti trarranno profitto dal provvedimento, la rappresaglia la subiranno quelli che vanno a lavorare tutti i giorni.

Che aggiungere? Massima solidarietà da parte di questo blog* a tutti coloro che sono vittima di discriminazione e pregiudizio, qualunque sia la provenienza della vittima, dovunque esse avvengano e chiunque ne sia il perpetratore.
Terroni di tutto il mondo unitevi !

Ecco il video del servizio.

*Che poi sono sempre io ma detta così fa più scena.

giovedì 15 ottobre 2009

Blog action day '09: il cambio climatico


Blog Action Day è l'evento annuale che unisce bloggers di tutto il mondo. Ognuno posta sullo stesso tema lo stesso giorno sul proprio blog allo scopo di far nascere una discussione su argomenti di rilievo globale. Si può ancora aderire per tutta la giornata del 15 ottobre.

Molti si sono lamentati qui a Bruxelles dell'ultima settimana di pioggia dimenticando che per ben due mesi non ha piovuto. Le precipitazioni sono state a carattere torrenziale. Come avviene in Campania, nel sud Italia in generale. Per il Belgio è una novità. Le estati ultra torride un tempo erano l'eccezione ora si susseguono con più frequenza.
Fino a una quindicina d'anni fa in Belgio il termometro faceva segnare -10° per almeno tre settimane all'anno. Ora tutto ciò è un ricordo. Il freddo può non far piacere ma era parte di indispensabili alternanze metereologiche ora scomparse. L'agricoltura in molti paesi è in ginocchio a causa della siccità. Emblematico quanto di recente è avvenuto in Argentina.
I negazionisti parlano di cicli geologici naturali. Ma il fenomeno avviene con tale rapidità che le responsabilità umane diventano lampanti.

L'evidenza scientifica è abbondante. Le particelle di anidride carbonica nell' atmosfera prima della rivoluzione industriale erano 280 su un milione. Che negli anni 50 erano già a 350 e che ora siamo vicini alla soglia di non ritorno di 450 (Carbon's new math).

Una parte dei gas ad effetto serra è utile per mantenere il pianeta sufficientemente caldo. Il loro eccesso, dovuto ai combustibili fossili, è invece la causa principale del riscaldamento globale con tutte le sue gravi conseguenze. Fenomeni metereologici estremi. Scioglimento di ghiacciai e ghiacci del mare artico. Diffusione crescente di malattie tropicali. Distruzione delle barriere coralline.

Alla recente crisi economica è stata data una lettura banalizzata, in chiave esclusivamente finanziaria. Alcuni paesi-continente, Cina, India, Brasile, hanno dato segno di voler partecipare più assiduamente al banchetto dei ricchi. Si è subito prodotta una pressione su prezzi di energia e materie prima. La speculazione ha annusato l'odore del sangue è ha spinto in alto inflazione e tassi di interessi. E così il castello di carte del mercato immobiliare è venuto giù.
Ma non è una crisi finanziaria, è una crisi ecologica. Se tutta l'umanità iniziasse a consumare come quel 20% che accaparra l'80% delle risorse non basterebbero 5 pianeti terra per far fronte. Qualcuno inizia ad averne abbastanza di 'prestare' le proprie risorse ai ricchi. Questa è la vera essenza del credit crunch.
Si può sempre stampare moneta per rimettere in sesto qualche banca. La dilapidazione di foreste, territorio, ozono, risorse idriche e materie prime invece non potrà essere azzerata da nessun artificio.

La crisi avrebbe dovuto condurre ad un ripensamento dei modelli di sviluppo, del modo stesso in cui si misura la performance economica. Avrebbe dovuto portare ad una ridefinizione del significato che si attribuisce ai termini benessere e felicità (tema di un vecchio post: 'el calientamiento global' ed i maiali di Carlos). Avrebbe dovuto accentuare gli sforzi per ripristinare, magari grazie alla ricerca e alla tecnologia, la logica naturale dei cicli aperti, basati sul riutilizzo, anziché quella dei cicli chiusi che producono rifiuti.

Ed invece niente. L'unica reazione consiste nel tentare di restaurare la normalità il più presto possibile come se nulla fosse. Soldi alle banche. Aiuti alle case automobilistiche. Vendere meno auto diviene la peggiore tragedia che possa capitare all'umanità. E giù con incentivi all'acquisto di nuove vetture in tutti i paesi a prescindere da latitudine e colore dei governi. Leggevo di un piano per dimezzare le emissioni del traffico aereo per il 2050. Le compagnie aeree se ne sono lamentate, troppo ambizioso.
Solita storia. Sporchiamo adesso, pulirà chi verrà. Intanto il prezzo del petrolio è di nuovo a 73$. Basterà una mini ripresina per fargli risuperare i 100$. A quel punto ricomincerà la giostra dei crolli. Questa volta però a fallire non saranno le banche ma i governi stessi.
Brutta gatta da pelare la crisi ecologica. Qualcuno addirittura sostiene che sia già troppo tardi. Il capitalismo liberale basato sul consumismo ha consumato se stesso. E' ora di prenderne atto. Adesso e non nel 2050.

lunedì 12 ottobre 2009

Il sole del nord


Lilla, pizzeria italiana

Sabato scorso sono stato con degli amici all'outlet di Roubaix, cittadina all'estremo nord della Francia nei pressi di Lilla. Dista un'ora da Bruxelles. E' la destinazione di moltissimi brussellesi interessati a risparmiare il 15-20% sulle loro compere. Se si seleziona con accortezza si riescono a fare buoni affari.

Questa escursione oltre frontiera mi ha permesso, in modo del tutto casuale, di venire a saperne di più sui movimenti intercorrenti tra questo lembo estremo di Francia ed il paese confinante.
A Lilla non si perde occasione per farsi vanto della propria nordicità. Le theatre du nord, la voix du nord, le credit du nord, la librairie du nord e persino una brasserie le soleil du nord (il sole del nord). Abbiamo trovato il titolo tanto audace da meritare un premio e vi ci siamo fermati per una crepe ed un cioccolato. All'interno del bar era disponibile una copia di un quotidiano locale, Nord éclair. Il giornale si chiedeva in modo eloquente: è il Belgio il nuovo eldorado del lavoro?

All'interno si parlava dei lavoratori frontalieri. Quelli che sebbene residenti in Francia si recano quotidianamente in Belgio per lavoro. Sono 35.000 contro solo 5.000 belgi che fanno il contrario. La loro condizione è vantaggiosissima. Godono di un trattamento del tutto particolare grazie ad una convenzione tra i due paesi. Pagano i contributi sociali, più economici, in Belgio. Le tasse invece le pagano in Francia dove sono più basse che in Belgio. Vengono poi forniti alcuni dati sull'economia belga. La disoccupazione è al 4.5% nelle Fiandre, e al 9.5% in Vallonia.
L'articolo parla di una imminente penuria di forza lavoro nelle nelle Fiandre. Molti lavoratori qualificati con 50 anni di anzianità sarebbero ormai prossimi alla pensione.
I datori di lavoro fiamminghi cercherebbero lavoratori con conoscenze tecniche in informatica, settore elettrico, agroalimentare e così via.
Questa situazione va a beneficio di tutti. Dei datori di lavoro che si trovano a disporre di manodopera più motivata e meno sindacalizzata. Dei lavoratori che oltre ai vantaggi fiscali godono di un salario superiore in media del 30% rispetto a quello francese.
Un'altro articolo da molta enfasi allo studio dell'olandese il cui apprendimento non sarebbe, a conti fatti, tanto più ostico di quello dell'Inglese.

La cosa però più divertente è che il giornale tratta il Belgio alla stregua del buco con la menta intorno della vecchia pubblicità della polo, dove la menta intorno sono Fiandre e Vallonia ed il buco invece è la regione brussellese. Su quest'ultima nemmeno una riga.
Quando poi si vanno a spulciare i dati sulla disoccupazione se ne comprende il motivo. L'area urbana di Bruxelles ha fatto registrare di recente un picco di 100.000 disoccupati. Su un bacino di un milione di abitanti viene facile immaginare quale possa essere la percentuale finale: più del 20%.

Non ho informazioni sulle ragioni alla base di uno scarto così ampio con i territori confinanti. E' un dato, tra l'altro, in conflitto con la mia esperienza personale. Se qualcuno ne sa di più è il benvenuto.
La mia impressione è che si tratti di un problema più qualitativo che quantitativo. Il lavoro non mancherebbe ma quello che le imprese e le istituzioni europee cercano sono profili qualificati. Quello che il mercato offre è invece forza lavoro poco istruita e difficilmente impiegabile. Il grosso è incapace a causa della barriera linguistica di spostarsi di neppure dieci chilometri per cercare lavoro. Sembrebbe, a prima vista, una questione di immigrazione ed integrazione gestite male. Prometto di approfondire la questione.

Sul versante francese invece c'è Lilla. Chi dovesse preferire un po' di pendolarismo all'esosità del fisco belga e fosse attratto dall'atmosfera tanto ricercata quanto rilassata di una città di taglia media del nord della Francia un pensierino potrebbe farcelo. Conosco qualcuno che già lo fa.

mercoledì 7 ottobre 2009

La piccola Italia


Solo ora mi rendo conto di quello che potrebbe essere un difetto di Bruxelles. O meglio qualcosa che per qualcuno potrebbe essere un pregio ma che io giudico un difetto.

C'è stato l'altro giorno il dibattito sulla libertà di stampa in Italia al circolo Palombella con Antonio di Pietro. Sono riuscito a trascinarmi dietro Ala e ci sono andato.
Lo scopo qui non è raccontare la discussione. Per chi fosse interessato è riassunta brevemente in un commento al post.

Comunque la sala era gremitissima, i posti a sedere tutti occupati, molti erano in piedi, altri accovacciati a ridosso delle pareti. Si parlava di questioni italiane, di fronte ad una platea italiana, con politici italiani, moderatori italiani in un circolo gestito da italiani. Bisognava sforzarsi parecchio per non dimenticare di essere in un altro paese.
Certo le comunità italiane sono presenti ovunque ma qui c'è un salto di qualità. Qua c'è l'Europa, ci sono le sue istituzioni, ci sono 80 parlamentari con i rispettivi codazzi al seguito. Ci sono commissari, funzionari, rappresentaze di istituzioni locali, sedi distaccate di partiti, sindacati. Ci sono associazioni. Ci sono persino compagnie teatrali 'italofone'. Molta gente lavora in uffici con soli colleghi italiani e capi italiani. Basti pensare che il prossimo evento che il circolo organizza è la presentazione del libro "Eurocasta" sugli italiani delle istituzioni europee.
Si trovano agevolmente giornali italiani, si riceve la tv. E' facile reperire i prodotti alimentari nazionali. Ci sono 4 o 5 ristoranti italiani nel raggio di 500 metri da dove abito. Non è difficile trovare cinema che danno film in italiano.
A Brussels chi vuole può restare in Italia pur essendo, solo fisicamente, lontano.

Me ne rendo conto appieno solamente ora per una serie di motivi. Sono arrivato qui venendo dalla Spagna. Sono approdato forse nell'unico ufficio comunitario privo di italiani e popolato quasi esclusivamente da belgi. Ho preso casa in una zona considerata fuori mano dagli expats. Lo abbiamo fatto perché qui avevamo trovato un alloggio provvisorio su internet e perché il giorno dopo una signora alla fermata dell'autobus ci disse che in effetti era una buona zona. Mi sono a lungo sentito tagliato fuori e me ne sono pentito. Ora inizio a pentirmi del pentimento.
Perché questa little Italy potrà andar bene per lenire la nostalgia là dove se ne soffra (a riguardo mi viene in mente un articolo di ItalianiInFuga). Ma può al tempo stesso trasformarsi in un arma a doppio taglio che come effetto indesiderato appiattisce l'esperienza della partenza e ne svilisce la portata. La trasforma in una scelta materiale dettata dalla materialità. Il paese ospite diventa un'entità distante di cui si comprendono a mala pena i cliché.

In più c'è l'aggravante della situazione italiana. Spesso si parte per sfuggire anche ai miasmi di fogna che ti soffocano. Ma è un'illusione. Ti seguono e, come in un film horror, ti riacciuffano. Senza accorgertene ti ritrovi immerso nelle stesse tensioni, angoscie e frustrazioni che speravi di aver lasciato alle spalle. Dieci anni fa nei dibattiti con Di Pietro si ascoltavano esattamente le stesse cose di oggi. Dire che anche tra dieci anni si continuerà a sentirle, al momento, significa fare spensierata professione di ottimismo.
Venire a Bruxelles significa lasciare l'Italia ma soltanto in modiche quantità.

Quanto ad Ala è rimasta contentissima d'essere venuta. Si è divertita come un bambino al circo equestre. Per chi la vede da fuori la situazione italiana è più spassosa di una commedia dell'arte.