venerdì 27 novembre 2009

Il vetro invisibile



Chi si trasferisce in un paese nuovo spesso attribuisce l'indifferenza da cui si sente circondato a pregiudizio, razzismo, xenofobia, sciovinismo, etc. Ovviamente questi sentimenti esistono. Il fatto poi che gli italiani, popolo tradizionalmente di emigranti, ne abbiano a lungo sofferto non fa che aumentare i timori dei nostri connazionali all'estero.

Concentrandosi eclusivamente su di essi, però, si rischia di trascurare altre cause dovute a fattori storici e culturali e che secondo me incidono in maggior misura. Provo a spiegarmi raccontando situazioni che fino ad ora ho vissuto.

Quando ho iniziato al mio lavoro attuale la mia compagna di stanza era una donna belga olandesofona che per semplicità chiameremo Assunta*. Mi invitò, credo per cortesia, ad unirmi al suo mini-gruppetto per la pausa pranzo che era composto da Gennaro* e dal giovane Ciro*, di cui Gennaro era il capo. Tutti fiamminghi.
Tutti i giorni dell'anno, implacabilmente alla stessa ora, si recano per il pranzo alla mensa del parlamento. Essa è popolata da un universo variegato di gente proveniente da ogni angolo d'Europa. I nostri eroi, però, sceglievano, e continuano a farlo, regolarmente il più isolato dei tavoli, possibilmente 'faccia al muro', verso i margini del gigantesco stanzone.
Ogni tanto mi interpellavano con qualche fugace commento in inglese riguardante in genere il clima belga e le mie scelte alimentari a loro giudizio ripetitive per poi perdersi in impenetrabili conversazioni nella loro madre lingua.

Assunta, nel frattempo, ha cambiato di stanza. Nel mio ufficio è arrivato Gaetano*, il super system architect di Atlanta, col compito di portare a compimento una notevole opera di razionalizzazione. Gaetano è un tipo gioviale ed amicone. Non spiaccica però una sola parola di francese.
Il primo giorno è venuto con me in mensa. C'erano i francofoni e ci siamo seduti accanto a loro. Questi però sono rimasti del tutto indifferenti. Non hanno mostrato curiosità per il nuovo collega, né si sono presentati, tanto meno si sono premurati di cambiare lingua per coinvolgerlo nella conversazione. Niente, come se fosse un fantasma. L'episodio, venendo da un tipo di cultura diversa, mi ha lasciato a bocca aperta, rassicurandomi però al tempo stesso. Era la prova finale che né io, né la mia provenienza, c'entravamo niente. Sono loro ad essere così.

Invece Assunta, va detto, è veramente insopportabile e l'antipatia è reciproca. Anche a Gennaro sono antipatico ma solo per induzione. Tempo dopo qualcuno mi ha riferito che in realtà stanno insieme. Che poi non me ne sia accorto per mesi forse è perché sono gonzo io o forse è perché sono merluzzi loro. Credo che, come sempre, la verità sia nel mezzo.

Al giovane Ciro (il protagonista del post 'vieni a ballare in pulia') invece non sto antipatico. Si ferma a chiacchierare nelle pause, una volta è persino venuto a trovarmi nella stanza. Il che, per i loro canoni, rappresenta un grande slancio di espansività.
Mi aveva detto di abitare in un piccolissimo villaggio fuori città con vista su campi popolati da vacche. Gli domandai dove andasse mai la sera. Mi guardó con l'espressione stupita di colui a cui è stato chiesto di firmare una cambiale in bianco: "La sera?! ma resto a casa!".

Chiaro che a queste latitudini anche la domanda di socialità è diversa e spesso è la dimensione prettamente domestica a prevalere. Espansività eccessiva, incontinenza emotiva, loquacità incessante sono valutati diversamente che altrove. Chi gesticola viene giudicato aggressivo. Contatti fisici quali pacche sulle spalle, strette di mano, non sono ben visti. Insomma è come se le persone fossero recintate da una barriera di vetro invisibile, che si reputa disdicevole valicare.
L'altro giorno avevo bisogno di un'indicazione stradale. Mi sono avvicinato a dei passanti. Nel tempo intercorso tra il rituale 'Scusez-moi' e la formulazione della domanda ho notato un certo irrigidimento che è svanito solo quando hanno riconosciuto la validità delle ragioni per le quali li interpellavo.

Mi viene in mente il post del poliglotta irlandese, dove fornisce qualche buon suggerimento su come socializzare all'estero, e dove racconta delle sue avventure in Brasile. Lí la situazione è completamente ribaltata. Dice che i brasiliani considerano un forestiero alla stregua di un amico che non hanno ancora incontrato. Chi non parla per più di cinque minuti a chi gli sta accanto viene scambiato per uno straniero che non conosce il portoghese, o peggio ancora per qualcuno che ha gravi problemi di comunicabilità.

Razzismo e xenofobia esistono dovunque. Ma non sono sempre la ragione di tutto quello che avviene. Spesso comportamenti, che ci sembrano sorprendenti, sono in realtà dovuti alle diverse consuetudini del paese che ci ospita. Ecco perché esserne consci ed imparare a saperle distinguere è fondamentale.

*La napoletanizzazione dei nomi fiamminghi è una tecnica che prendo a prestito dall'autore di un 'italiano in norvegia'. La trovo efficacissima allo scopo di parlare del peccato senza far menzione del peccatore ed di evitare al tempo stesso che qualcuno si scopra citato in un post in una lingua che non comprende.

martedì 17 novembre 2009

No Berlusconi Day - 4 dicembre Brussels



Data: venerdì 4 dicembre 2009
Ora: 12.00 - 14.00

Luogo: La manifestazione NO BERLUSCONI DAY a BRUXELLES sarà VENERDÌ 4 DICEMBRE, in Square de Meeûs alle ore 12:00. Da lì, dopo una sosta davanti alla DG JLS (Giustizia e Libertà) della Commissione Europea, e passando per la Place du Luxembourg, si andrà al Rond-Point Schuman.

Mentre per la prima volta il governo Berlusconi inizia a pagare in termini di impopolarità il peso delle sue nefandezze, un gruppo di blogger si mette in azione. Apre un sito su wordpress. Propone una manifestazione il NO BERLUSCONI DAY per il 5 dicembre. L'iniziativa decolla, le adesioni arrivano a 250.000 mila, aderisce Di Pietro, aderisce Grillo, ne parla repubblica.

Il PD, in fervida attesa di spiragli inciucisti, dice di lasciar perdere. Che ci penseranno loro a cacciare Berlusconi. Con la stessa flemma snervante che mettono in opera da 15 anni. C'è tempo, per ora c'è da far diventare D'Alema Mr PESC. A Berlusconi intanto le dimissioni non le hanno nemmeno chieste. Mi domando cosa mai si aspettino che un premier faccia (vedere 101 domande al reticente del consiglio) perché si sentano in dovere di chiedergliele.

A qualcuno tutto ció non va giù e si attiva sulla rete. La rete diviene l'imprevisto, l'imponderabile. La sola cosa che la P2 non è riuscita ad immaginare. La buccia di banana di chi pensava bastasse controllare TV e giornali per sigillare il regime.

Di cosa penso di Berlusconi, del Berlusconismo, della mediocrazia e del progetto di regime in fase avanzata di realizzazione ne ho parlato in diversi post su questo blog (La protesta degli italiani, Il governo del crimine, Alfano sucks, l'aria serena del sud, il caso Rai-Sky) e in qualche altro thread.

Invece qui vorrei sottolineare l'importanza di questa iniziativa che mi sta particolarmente a cuore perché nasce proprio dalla blogosfera. E' la dimostrazione che il pensiero e lo scambio di idee sono di per se già azione. Questa volta non mi limiterò a soltanto a participare perché è importante che essa abbia successo. Perché è solo da questo universo che può arrivare la rinascita nazionale.

Sulla nomenclatura partitocratica ed inciucista del PD c'è poco da fare conto.

domenica 15 novembre 2009

Lo sgombero


La settimana scorsa, mentre mi divertivo a cogliere olive nella quiete delle colline, a valle avveniva qualcosa che ha avuto una certa eco anche sui media nazionali, lo sgombero del «ghetto» nell'area di San Nicola Varco di Eboli, ad opera di polizia, carabinieri e guardia di finanza.
Per anni più di mille lavoratori immigrati nordafricani, per lo più marocchini ci hanno vissuto in condizioni disumane.
Con il paradosso che la vita di quegli africani, se possibile, è scivolata ancora più in fondo. Più ai margini. Espulsi da un’ex area mercatale occupata abusivamente. Ma poi
identificati e quasi dispersi per i campi (repubblica - edizione nazionale).

Siamo nella piana del Sele, in provincia di Salerno, pianura a forma di cuneo conficcata tra Costiera Amalfitana e Cilento. Tagliata in due dal Sele, fiume quasi integro, ospita i templi di Paestum. Zona di mozzarelle di bufala, che sebbene conosciutissime fuori come prodotto tipico dell'Italia, appartengono quasi esclusivamente a questo triangolo di pianura, oltre che alle terre di Gomorra a nord di Napoli.
I terreni, un tempo paludosi e collocati su falde acquifere gigantesche, sono fertilissimi. Vi si coltiva di tutto per 12 mesi all'anno. Le aziende agricole della zona esportano per milioni e milioni di euro. Questo idillio però richiede ancora sacrifici umani. Continua l'articolo:
...L’ipotesi avanzata dalla Cgil è che [gli immigrati] siano stati “graziati” perché «i grandi imprenditori ortofrutticoli della zona - come spiega Michele Gravano, segretario regionale della Cgil - dovrebbero chiudere senza quella forza lavoro». Tutti fuori. Regolari e clandestini accomunati da un’unica sorte: essere sfruttati per 22 euro al giorno, dopo 14 ore di lavoro quotidiane. D’estate, a raccogliere fragole e pesche. Oggi, piegati su finocchi e carciofi. E il resto dell’anno nelle serre...

Eccola qua la faccia inconfessabile della tolleranza zero, delle ipocrisie indegne del law and order. Il non detto che tutti conoscono. L'immigrazione clandestina esiterà sempre perché fa comodo poter disporre di gente ricattabile e senza diritti. Che non può iscriversi ad un sindacato, che non può appellarsi ad un giudice, che può essere denunciata in qualunque momento (vedere a tal proposito il reportage dell'espresso di qualche anno fa, io schiavo in puglia).
Ora immaginiamoceli 1000 immigrati ancora lì, non espulsi, non identificati, ancora a disposizione dei caporali. Semplicemente privati del loro alloggio di fortuna. Dispersi all'addiaccio nei campi. Per la mitologia in Campania c'è sempre il sole ma la settimana scorsa ha piovuto ininterrottamente per 4 giorni di fila.

Qualcuno si è comunque mobilitato per offrire aiuto, vestiario, coperte, vettovaglie. Sbagliatissimo a detta dei ben pensanti. Questa gente non va aiutata. Si deve far in modo che se ne vadano. Niente di più.
Mia madre mi riportava questi commenti ieri al bar dell'aereoporto, proprio mentre al tavolo accanto una giovane donna straniera con un bambino, chiedeva l'elemosina ad un signore molto distinto e ben vestito. Sarà stato un parlamentare o un eurocrate dato che poi l'ho rivisto sull'aereo.
-Se ne vada! le ha urlato platealmente, Non vede che sto mangiando!?

Il problema è proprio quello, che lo vede.

sabato 7 novembre 2009

Date a Cesare quel che è di Cesare


L'altro giorno Marco Travaglio* ha preso posizione a favore della presenza del Crocefisso nelle aule scolastiche, presenza minacciata da una sentenza della corte europea di Strasburgo.
Travaglio argomenta:
Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”).

Trovo queste considerazioni assolutamente condivisibili. Nelle predicazione di Gesù Cristo trovano posto i punti di vista più radicali che si possano immaginare, anche nel contesto attuale. Il rifiuto incondizionato della violenza e del militarismo, del materialismo consumistico, della pena di morte, del razzismo, della xenofobia, fin'anche dell'evasione fiscale. Nelle sue parole non c'è traccia della sessuofobia ossessiva imposta da chi è venuto dopo.

Purtroppo la storia del Cristianesimo non è finita con Cristo. C'è stato un seguito pieno di cose nobili, ma anche di incredibili nefandezze compiute nel nome del crocifisso che ha finito per diventare il simbolo di una parte. Una parte alla quale si può decidere di aderire o di non aderire. Ecco perché il suo posto non è sul muro di una scuola. Perché ad una religione aderiscono gli individui, non le istituzioni.

Provo a spiegare meglio il mio punto di vista cambiando contesto.
In Francia e Belgio è molto accesa la discussione sulla laicità dello stato. Qui la bandiera della laicità viene sventolata dalle destre in funzione anti islamica. Ci si appella ad essa per vietare il velo nelle scuole.
Era capitato di parlarne in classe durante il corso di francese. Il professore approvava il divieto assoluto dell'uso del velo islamico. Qualcuno gli ha chiesto se per coerenza non debba essere vietato anche il crocefisso. Certamente si, ha risposto lui, convinto di dare una risposta ovvia. E badate bene, qui si discute di uso personale dei simboli religiosi.

Bene. Io questo ultimo punto di vista non lo condivido. Sia per quanto riguarda il velo islamico, se questo diventa la condizione che la famiglia pone alle ragazze per poter uscire di casa. E' meglio che a scuola ci vadano comunque. Sia per quanto riguarda il crocefisso. Se uno studente desidera indossarlo o esporlo sul proprio banco deve poterne avere la facoltà. Non sarei nemmeno contrario se a farlo fosse un professore. Perché la scelta resterebbe comunque individuale.

E' l'atto di appenderlo sul muro di una classe che non va bene. la scelta diventa collettiva. La maggioranza si arroga il diritto di scegliere per la minoranza. La collettività adotta una fede rendendo confessionale quello stato che di essa ne è l'espressione.
Si presume quindi che ogni cittadino aderisca alla confessione pubblica. Chi non lo fa diviene eccezione, ergo un problema. E' evidente l'elemento vessatorio verso quelle che si presume essere minoranze, i cui appartenenti vengono spinti a sentirsi dei disadattati.
E' inutile dire che la qualità di una democrazia la si valuta dal modo in cui vengono trattate le minoranze. Le maggioranze vincono sempre anche nei regimi.

Ma torniamo a Gesù. Il "porgi l'altra guancia" non è mai stato realmente rispettato da coloro che dichiarano di esserne seguaci. Tanto meno oggi quando imponenti armate cristiane occupano Iraq ed Afghanistan.
C'è invece un'altro principio di fondamentale importanza. "Date a Dio quel che è di Dio, date a Cesare quel che è di Cesare". Leggendolo bene ci si accorge che è stato Gesù medesimo a stabilire la separazione tra stato e chiesa. Gesù, nato sotto l'impero romano con un imponente potere politico e militare già costituito fu il primo a teorizzare lo stato laico.
L'implementazione di questo precetto è stata alla base di molti dei successi dell'occidente. L'Islam, che per secoli è stato una civiltà molto più avanzata di quella Europea, ha perso il proprio vantaggio per il fatto di non disporre di un principio equivalente.

Ecco perché non va appeso il crocefisso in aula. E' stato Gesù a dircelo.

*Vorrei comunque, a prescindere dal tema dell'articolo, esprimere apprezzamento a Marco Travaglio per il lavoro che fa quotidianamente raccontando le cose incredibili che avvengono di questi tempi nel nostro paese. E ce ne vuole di coraggio nell'Italia di oggi.